venerdì 4 dicembre 2020

Chi era Ferdinando II di Borbone? - parte seconda



Chi era Ferdinando II di Borbone? - Parte Seconda

Ferdinando II si dedicò, a differenza dei suoi avi, direttamente al governo del Regno, tanto da offuscare i suoi stessi ministri. All’interno cercò di privilegiare i ceti popolari, in antitesi con gli interessi dei proprietari terrieri, eredi del feudalesimo, e con le velleità di una borghesia (i disprezzati «paglietti» e «pennaruli») economicamente rapace quanto politicamente immatura e velleitaria. Il Re teneva ad assicurare la maggiore prosperità possibile al popolo. In tutte le istruzioni emanate agli intendenti delle Province, ai commissari demaniali, agli agenti del fisco, si avverte l’intenzione della monarchia di basarsi sull'amore della classi popolari. 

Famiglia Reale

La politica interna

Il Re raccomandava ai suoi funzionari di ascoltare chiunque del popolo. Li ammoniva di non fidarsi delle persone più potenti: li incitava a soddisfare con ogni amore i bisogni delle popolazioni. Fra il 1848 ed il 1860, gli anni più difficili a causa del crescente isolamento internazionale, cercò di economizzare su tutto, pur di non mettere nuove imposte: si evitarono principalmente le imposte sui consumi popolari. Il Re diede il buon esempio, riducendo il suo appannaggio, fatto questo non comune nella storia dei principi europei, in regime assoluto o in regime costituzionale.

Nel 1837 scoppiò l'epidemia colera che era stata prevista e contro cui ci si era premuniti: l'epidemia ebbe inizio ad Ancona ed il re dispose subito che venissero sospesi tutti i traffici con lo Stato Pontificio, e fissò delle pene molto severe per tutti coloro che avessero trasgredito alle disposizioni sanitarie e di igiene che erano state già emanate. Con l'energia che lo distingueva, Ferdinando ebbe cura sia del popolo che dell'esercito, e, quando in ottobre il colera invase Napoli e i comuni vicini, incurante di ogni pericolo, fu in prima linea nei rioni più popolari della città, interessandosi personalmente di tutto: con il suo inesauribile dinamismo dai rioni popolari passava agli ambulatori, poi ai lazzaretti e infine nelle caserme, dove consumava il rancio tra i suoi soldati. 

Il Re “bomba

Diede poi disposizioni affinché venissero distribuiti gratuitamente il maggior numero di medicinali atti a frenare la malattia, cosa che certamente non doveva essere facile a quei tempi. Con l'inverno il male terminò, dopo aver provocato circa 6.200 vittime. 

Napoli ebbe poi a subire una seconda epidemia di colera. Questa volta il colera invase tutto il regno raggiungendo anche Palermo e diverse città della Sicilia. Le vittime di questo secondo colera furono a Napoli circa 14.000, ma in Sicilia ve ne furono oltre 65.000.

Nel 1839 inaugurò la Napoli - Portici, primo tronco ferroviario costruito in Italia, cui seguirono numerose altre opere. Il 29 gennaio 1848 concesse la Costituzione e nel marzo seguente per volontà dei liberali al governo, interrompendo un lungo periodo di pace, fu inviato un contingente di truppe al comando di Guglielmo Pepe a combattere contro l'Austria a fianco dei Sardi. La rivoluzione in Sicilia e gli avvenimenti napoletani del 15 maggio, con cruenti scontri tra le truppe e i liberali, indussero Ferdinando a sciogliere la camera e richiamare l'esercito dal nord. Nel maggio 1849 la sommossa della Sicilia fu domata con le armi. La costituzione non venne abrogata ufficialmente: fu semplicemente messa in disparte. Questi avvenimenti pesarono non poco sul carattere e sull’entusiasmo del Re, che però continuò a perseguire il suo personale disegno di sviluppo della Regno: i popolani continuarono ad essere al centro della sua attenzione.

Perseguendo la politica dirigistica, realizzò industrie, strutture, strade, porti, sviluppò commerci e istituti sociali. Morì prematuramente a nemmeno 50 anni, mentre le nubi cominciavano ad ammassarsi sull'Antico Regno. I suoi resti riposano a Napoli in Santa Chiara.

Messina in rivolta (1848)

Il Re “bomba”

Già precedentemente osannato dai liberali con gli appellativi di “novello Tito” o “pacifico Giove”, divenne “Re Bomba” perché consentì il bombardamento di Messina del 5 settembre 1848. La città, come l’intera isola, era insorta con l'appoggio discreto dell'Inghilterra, interessata da una parte a "mettere le mani" sulla Sicilia, isola strategica per il controllo del Mediterraneo, dall'altra parte desiderosa di ostacolare la politica di Ferdinando II, a cui non aveva mai perdonato lo “sgarro” tentato con la questione degli zolfi siciliani.

Ma torniamo al bombardamento: la squadra navale napoletana era costituita da tre fregate a vela, 6 fregate a vapore, 5 piroscafi armati, 20 cannoniere, 24 scorridoie ed altri legni sottili. Il 1° settembre 1848 ancorò al largo di Catona, presso Reggio e nella notte si avvicinò alla costa dell’isola per impadronirsi di una batteria degli insorti, detta delle “Moselle”, situata a fior d’acqua nei pressi del villaggio di Contessa, fuori Messina, forte di 12 cannoni. 

La Reale Flotta

La flotta iniziò il bombardamento alla mattina del 2 settembre e poco dopo dal bastione Blasco della Cittadella di Messina, nelle mani dell’esercito regolare, effettuarono una sortita 4 compagnie di pionieri che, coperti dal fuoco navale, incendiarono gli affusti dei cannoni. Nel pomeriggio del 4 settembre si imbarcarono a Reggio, 250 ufficiali e 6400 uomini di truppa. Lo sbarco delle truppe regie in terra siciliana iniziò alla mattina del 5 settembre a 3 miglia da Messina, protetto dal fuoco delle pirofregate e delle cannoniere. I primi a scendere a terra furono gli uomini del reggimento Real Marina, al comando del colonnello Giustino Dusmet. Dopo tre giorni di aspri combattimenti, l’8 settembre le truppe regie entrarono in Messina, nel cui porto furono catturate 16 cannoniere. 

Si trattò di un combattimento tra due eserciti, eppure Ferdinando II è ricordato come il re “bomba”. Vittorio Emanuele II, che fece bombardare le case di Genova nel 1849, Gaeta, Capua ed Ancona (dopo la resa) nel 1860, Palermo nel 1866, fu “galantuomo” e "padre della patria"!

                                                              Scritto da Alfonso Grasso

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