lunedì 19 settembre 2022

René Guénon - La crisi del mondo moderno | Cap. 4 parte II - Scienza sacra e scienza profana



La crisi del mondo moderno
Cap. 4 - Scienza sacra e scienza profana

Volendo separare radicalmente le scienze da ogni principio superiore, col pretesto di assicurare loro l’indipendenza, la concezione moderna toglie ad esse ogni significato profondo e perfino ogni vero interesse dal punto di vista della conoscenza, e così facendo non fa che introdursi in un vicolo cieco, dal momento che le confina in un dominio irrimediabilmente limitato[1]

Peraltro, lo sviluppo che si effettua all’interno di questo dominio non è certo un approfondimento, come immaginano certuni; esso resta invece del tutto superficiale e si sostanzia in quella dispersione nei dettagli che abbiamo già segnalato, nonché in un’analisi tanto sterile quanto penosa; ed un tale sviluppo può proseguire indefinitamente senza che si avanzi di un sol passo nella via della vera conoscenza.

Ma in effetti, gli Occidentali, in genere, una scienza siffatta non la coltivano certo per se stessa: ciò che loro hanno soprattutto in vista non è certo una conoscenza, foss’anche di ordine inferiore, quanto le applicazioni pratiche che possono derivare da tale scienza, e per rendersi conto che le cose stanno effettivamente così basta vedere con quale facilità la maggior parte dei nostri contemporanei confonde scienza ed industria, e quanto sono numerosi coloro per i quali l’ingegnere rappresenta il tipo stesso dello scienziato; ma ciò attiene ad un altra questione che tratteremo in seguito.

La scienza, nel costituirsi alla maniera moderna, non ha perduto solo in profondità, ma anche, per così dire, in solidità, poiché, mentre prima il ricollegamento ai principi la faceva partecipe della loro immutabilità, nella misura in cui lo permetteva il suo stesso oggetto, adesso invece, confinata esclusivamente nel mondo del cambiamento, non vi si trova più niente di stabile, nessun punto fisso ove possa appoggiarsi; non partendo più da alcuna certezza assoluta è solo ridotta a delle probabilità e a delle approssimazioni o a delle costruzioni puramente ipotetiche che sono solo opera della fantasia individuale. 

Di modo che, anche quando può accadere accidentalmente che questa scienza giunga, per vie traverse, a certi risultati che sembrano accordarsi con alcuni dati delle antiche «scienze tradizionali», si avrebbe sicuramente torto se si pensasse ad una conferma di questi ultimi, conferma di cui essi non hanno alcun bisogno; ed equivarrebbe col perdere il proprio tempo se si volessero conciliare punti di vista così totalmente differenti o se si volesse stabilire una concordanza fra i dati delle «scienze tradizionali» e delle teorie ipotetiche che, forse, in qualche anno finiranno con l’essere interamente discreditate. 

In effetti, per la scienza attuale, le cose di cui si tratta non possono che appartenere al dominio delle ipotesi, mentre invece, per le «scienze tradizionali» esse erano ben altro e si presentavano come delle conseguenze indubitabili di verità conosciute intuitivamente, quindi infallibilmente, nell’ordine metafisico. 

D’altronde, credere che una teoria possa essere provata dai fatti, è una singolare illusione tipica dello «sperimentalismo» moderno, mentre invece, in realtà, gli stessi fatti possono sempre essere ugualmente spiegati tramite parecchie teorie diverse fra loro; ed alcuni promotori del metodo sperimentale, come Claudio Bernard, hanno riconosciuto che i fatti possono essere interpretati solo con l’aiuto di «idee preconcette», senza le quali resterebbero dei «fatti bruti», sprovvisti di ogni significato e di ogni valore scientifico.

Dal momento che abbiamo parlato dello «sperimentalismo», ne approfittiamo per rispondere ad una domanda che potrebbe sorgere in proposito: perché le scienze propriamente sperimentali hanno ricevuto, nella civiltà moderna, uno sviluppo che non hanno mai avuto in altre civiltà? 

Il fatto è che queste scienze sono quelle del mondo sensibile, quelle della materia, e sono anche quelle che permettono delle applicazioni pratiche più immediate; ne consegue che il loro sviluppo, accompagnandosi a ciò che potremmo chiamare la «superstizione del fatto», corrisponde esattamente alle tendenze specificamente moderne, mentre invece le epoche precedenti non trovavano dei motivi sufficienti per applicarvisi al punto da trascurare le conoscenze d’ordine superiore. 

Sia chiaro che non è affatto nostra intenzione dichiarare illegittima in se stessa una conoscenza qualsiasi, foss’anche di ordine inferiore; ciò che è illegittimo è solo l’abuso che si verifica allorché delle cose del genere finiscono con l’assorbire tutta l’attività umana, come si può constatare ai giorni nostri. 

Si potrebbe anche pensare che in una civiltà normale, delle scienze costituite con un metodo sperimentale, possano essere, esattamente come le altre, collegate ai principi e provvisti anche di un reale valore speculativo; e in effetti, se questa possibilità sembra non sia stata attuata, è perché l’attenzione è stata rivolta preferibilmente verso un altro versante, e anche perché, quando si fosse presentata la necessità di studiare il mondo sensibile nella misura in cui poteva essere interessante farlo, i dati tradizionali permettevano di interpretare in maniera migliore questo studio per mezzo di altri metodi e da un altro punto di vista.

Dicevamo prima che una delle cose che caratterizzano l’epoca moderna è lo sfruttamento di tutto ciò che era stato trascurato fino ad oggi, considerato come avente un’importanza troppo secondaria perché gli uomini vi potessero dedicare la loro attività, ma che tuttavia doveva essere sviluppato prima della fine di questo ciclo, poiché queste cose hanno il loro posto fra le possibilità chiamate a manifestarsi; in particolare, è questo il caso delle scienze sperimentali apparse in questi ultimi secoli. 

Vi sono anche alcune scienze moderne che rappresentano veramente, nel senso più letterale, dei «residui» di antiche scienze, oggi incompresi: si tratta della parte inferiore di queste ultime, che, isolatasi e staccatasi dal resto in un periodo di decadenza, si è grossolanamente materializzata ed è servita poi da punto di partenza per uno sviluppo del tutto diverso, in un senso conforme alle tendenze moderne e tale da sfociare nella costituzione di scienze che non hanno realmente più niente in comune con quelle che le hanno precedute. 

Per esempio, è falso dire, come si fa abitualmente, che l’astrologia e l’alchimia sono diventate rispettivamente l’astronomia e la chimica moderne, benché in questa opinione vi sia una parte di verità dal punto di vista semplicemente storico, parte di verità che è esattamente quella che abbiamo appena indicata: se le seconde derivano effettivamente dalle prime, in un certo senso, non è certo per «evoluzione» o «progresso», come si pretende, bensì per degenerazione; e questo richiede ancora qualche spiegazione

Per prima cosa, bisogna rilevare che l’attribuzione di diversi significati ai due termini di «astrologia» e «astronomia» è cosa relativamente recente; presso i Greci questi due termini erano impiegati indifferentemente per designare l’insieme dei due ambiti a cui oggi si applicano. Sembra dunque, a prima vista, che si tratti ancora di una di quelle divisioni causate dalla «specializzazione» ed operatasi in quelle che originariamente erano parti di un’unica scienza; ma in questo caso vi è qualcosa di particolare: mentre una di queste parti, quella che rappresentava l’aspetto più materiale della scienza in questione, ha preso uno sviluppo indipendente, l’altra è invece sparita del tutto.

E ciò è talmente vero che oggigiorno non si sa che cosa fosse con esattezza l’antica astrologia, mentre coloro stessi che hanno provato a ricostituirla hanno prodotto solo delle vere contraffazioni, sia nel volerne fare l’equivalente di una scienza sperimentale moderna, introducendovi le statistiche ed il calcolo delle probabilità, cose queste derivate da un punto di vista che non poteva in alcun modo essere quello dell’antichità o del Medio Evo, sia dedicandosi esclusivamente al ripristino di un’«arte divinatoria» che non fu altro che una deviazione dell’astrologia in via di sparizione, e nella quale si potrebbe vedere, tutt’al più, un’applicazione alquanto inferiore e fin troppo poco degna di considerazione, come è ancora possibile constatare in seno alle civiltà orientali.

Il caso della chimica è forse ancora più chiaro e più caratteristico, e l’ignoranza dei moderni nei confronti dell’alchimia è, quanto meno, altrettanto grande che quella nei confronti dell’astrologia. La vera alchimia era essenzialmente una scienza d’ordine cosmologico e, al tempo stesso, era applicabile all’ordine umano in virtù dell’analogia esistente fra il «macrocosmo» ed il «microcosmo»; 

inoltre, essa era costituita espressamente allo scopo di permettere una trasposizione nel dominio puramente spirituale, il che conferiva ai suoi insegnamenti un valore simbolico ed un significato superiore, e ne faceva uno dei tipi più completi di «scienze tradizionali». 

Ciò che ha dato vita alla chimica moderna, non è certo questa alchimia, con la quale essa non ha in fondo alcun rapporto, ma una sua deformazione, una deviazione nel senso più rigoroso del termine; deviazione causata, forse fin dal Medio Evo, dall’incomprensione di certuni che, incapaci di penetrare il vero significato dei simboli, presero tutto alla lettera e, credendo che si trattasse solo di operazioni materiali, si diedero ad una sperimentazione più o meno disordinata. 

Furono costoro, che gli alchimisti definivano ironicamente «soffiatori» e «bruciatori di carbone», i veri precursori degli attuali chimici; ed è così che la scienza moderna venne edificandosi: con l’ausilio degli avanzi delle scienze antiche, con i materiali da queste rigettati ed abbandonati agli ignoranti ed ai «profani». Aggiungiamo anche che i sedicenti rinnovatori dell’alchimia, presenti fra i nostri contemporanei, da parte loro non fanno che proseguire tale deviazione, e le loro ricerche sono così lontane dall’alchimia tradizionale, quanto quelle degli astrologi lo sono dall’antica astrologia; ed è questo che ci permette di affermare che le «scienze tradizionali» dell’Occidente sono veramente andate perdute per i moderni.

Noi ci limitiamo a questi pochi esempi, ma sarebbe facile presentarne ancora degli altri, tratti dagli ambiti più diversi ed in grado di dimostrare sempre la stessa degenerescenza. Si potrebbe far vedere come la psicologia, così com’è intesa oggi, vale a dire come lo studio dei fenomeni mentali come tali, non sia altro che un prodotto naturale dell’empirismo anglosassone e dello spirito del XVIII secolo, e che il punto di vista a cui corrisponde era così trascurabile per gli antichi che, se talvolta capitava loro di doverla considerare incidentalmente, non avrebbero comunque mai pensato di farne una scienza particolare; per loro, tutto quello che poteva esserci di valido lo si trovava trasformato ed assimilato entro dei punti di vista superiori. 

In tutt’altro settore, si potrebbe anche far vedere come le matematiche moderne rappresentino, per così dire, solo la scorza della matematica pitagorica, e cioè la sua parte puramente «esoterica»; perfino l’antica concezione dei numeri è divenuta assolutamente inintelligibile peri moderni, perché, anche in questo caso, la parte superiore della scienza, quella che le forniva con il suo carattere tradizionale un valore propriamente intellettuale, è totalmente sparita; e questo caso è paragonabile, per molto versi, a quello dell’astrologia. 

Ma non possiamo passare in rassegna tutte le scienze ad una ad una: sarebbe piuttosto fastidioso; pensiamo di averne detto abbastanza per far comprendere la natura del cambiamento da cui sono derivate le scienze moderne, cambiamento che è tutto l’inverso di un «progresso» ed è una vera regressione dell’intelligenza. 

Ritorneremo quindi a delle considerazioni d’ordine generale sul ruolo rispettivo delle «scienze tradizionali» e di quelle moderne, e sulla differenza profonda che esiste fra la vera finalità delle une e delle altre.

Scritto da René Guénon

La crisi del mondo moderno

Nessun commento:

Posta un commento