giovedì 2 maggio 2024

Tre partigiane: una foto finta che non cessa di esercitare il suo (macabro) fascino | politica

Tre partigiane: una foto finta che non cessa di esercitare il suo fascino

La celebre fotografia delle tre partigiane nelle strade di Milano nei giorni della Liberazione è una fotografia posata. Come molte fotografie iconiche che pretendono di cogliere l’attimo drammatico della rottura del tempo, che diventano simbolo di una svolta storica e di una nuova epoca (in quegli stessi mesi, per dire, la bandiera americana a Iwo Jima o la bandiera sovietica sul Reichstag di Berlino), anche questa è una creazione del fotografo, una messa in scena.

bandiera americana a Iwo Jima 

La fotografia è nota con vari titoli e con vari tagli, a seconda dell’uso giornalistico e politico che se ne fa. Qui sopra c’è l’intero fotogramma. Le riproduzioni ridotte di solito zoomano sulle tre donne in prima fila. I titoli variano dai generici Partigiane a Brera oppure Donne partigiane e gappisti – fino a Partigiane Azioniste per le strade di Milano durante l’in­surrezione, e anche Tre ragazze partigiane armate di fucile in via Brera

Il titolo più specifico, sembra dettato dal fotografo stesso, è 26 Aprile 1945. Milano. Tre ragazze aggregate a gruppi di partigiani in Via Brera, mentre perlustrano la città insieme ai Gappisti. In effetti, con tutta probabilità, lo scatto fu fatto qualche giorno dopo il 26 aprile e illustrava qualcosa di meno eroico, cioè la consegna delle armi dei combattenti partigiani così come era stata voluta dai comandi Alleati per evitare o almeno contenere le vendette (che anche il CLN voleva evitare).

E delle persone fotografate si sa quasi niente, tranne che di una di loro di cui si dirà fra poco. Si sanno cose invece del fotografo, Valentino detto Tino Petrelli (1922-2001).

Tino Petrelli aveva allora 23 anni. Lavorava per l’agenzia milanese Publifoto e fotografava i giorni dell’insurrezione e della liberazione in città. Sono suoi alcuni degli scatti del lugubre rituale che si sviluppò a Piazzale Loreto il 29 aprile, con i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e altri appesi a testa in giù al distributore di benzina, e i partigiani e la folla intorno. 

bandiera sovietica a Berlino

Negli anni successivi creò delle immagini che, per lo stile, si collocavano nella tradizione del cinema neorealista, documentando la povertà e le distruzioni del dopoguerra, e l’alluvione del Polesine. Documentò anche, in un’altra foto celebre, Fausto Coppi che nel 1953 si arrampica in solitaria sul passo dello Stelvio di fronte alla scritta “W Fausto” tracciata dai suoi fans nella neve. La scritta, in effetti, era stata tracciata un attimo prima dallo stesso fotografo, in un altro suo momento di ispirata creatività.

Fausto Coppi 

Anche la foto delle tre partigiane fu in realtà preparata. Anche un po’ tirata via, non proprio pensata nei dettagli. I soggetti rappresentati hanno atteggiamenti non adatti a combattenti che “perlustrano” la città, cioè che dovrebbero dare la caccia agli ultimi cecchini, un lavoro pericoloso. 

Hanno armi, ma non hanno l’aria di saperle maneggiare, le portano in maniera casuale. La donna più marziale, sulla sinistra di chi guarda, imbraccia un fucile in modo aggressivo ma platealmente all’incontrario, a pancia in su. L’uomo con l’impermeabile chiaro ha la pistola a tamburo in posizione imbarazzante. L’unico che sembra sapere il fatto suo, il tipo in soprabito in pelle con in pugno una Walther e una fascia al braccio, è in genere tagliato fuori dalle stampe del fotogramma. Chissà perché. Sembra un uomo del CLN che stia accompagnando gli altri.

tre partigiane

Chi sono dunque le “tre partigiane” in primo piano? Della giovane donna a sinistra per chi guarda, con il soprabito, sappiamo tutto. E’ Anna Maria Leone (1927-1998), detta “”. Aveva 17 anni, faceva parte dei “gruppi di difesa delle donne” ed era la compagna di Fabrizio Onofri, gappista romano diventato responsabile culturale del PCI, che poi sposerà. Nel dopoguerra lavorò nell’ambiente dello spettacolo come attrice e sceneggiatrice, collaborò con Vittorio De Sica (per Miracolo a Milano), con Carlo Lizzani (per Achtung! Banditi!), con Marco Bellocchio. Fece l’agente letteraria per l’agenzia americana William Morris. Negli anni Settanta fu attiva nel movimento femminista romano, produsse il film Io sono mia di Sofia Scandurra, fondò con Dacia Maraini e altre donne il Teatro della Maddalena.

Fra l’altro, mi sembra di capire che fu proprio negli anni Settanta che la fotografia divenne davvero nota, e iconica, legata alla crescita della sensibilità femminista.

Le altre due donne Lù Leone non le conosceva bene, e neanche noi. In una intervista del 1985 a Panorama raccontò che della ragazza di centro ricordava solo il nome, Aniuska, dell’altra solo che era la sorella. Erano donne polacche che aveva appena conosciuto, con loro e altri amici stava andando a consegnare le armi quando il fotografo chiese loro di alzare le canne dei fucili e scattò. 

Lo storico Adolfo Mignemi, autore di una Storia fotografica della Resistenza, sostiene che quella stessa sera le due sorelle furono protagoniste di una tragedia. Aniuska venne uccisa accidentalmente dalla sorella che stava stava riponendo l’arma, forse la stessa della foto (che quindi non fu consegnata?). Dice Mignemi che il racconto gli è stato fatto dallo storico dell’arte e ex partigiano Mario De Micheli durante una conversazione casuale. “” invece, di questa tragedia dell’imperizia non sapeva niente.

Un’ultima nota. Come è evidente dalla stampa ricavata dal negativo originale, nel negativo il viso del tipo in impermeabile chiaro è tutto graffiato. Ciò avvenne in seguito a una controversia giudiziaria e a una diffida legale. Dopo la diffusione delle prime copie della fotografia integra, infatti, l’uomo ottenne da Publifoto che la sua fisionomia fosse resa irriconoscibile. Non voleva aver niente a che fare con quella foto, si era messo addosso la pistola solo perché gliel’avevano chiesto.

Scritto da Arnaldo Testi

riferimenti

  • Enrico Menduni, Partigiane e figuranti. Una foto di Tino Petrelli nella Milano della Liberazione, 2018.
  • La Resistenza e la fotografia: storia di una ricostruzione, Corriere della Sera, 2015.
  • Roberto Del Grande, Petrelli, Nello Valentino, Dizionario Biografico degli Italiani Treccani, 82, 2015.

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore, che non corrispondono necessariamente a quelle de "Lo Schiaffo 321". Immagini tratte dalla rete. Fonte: shortcutsamerica.com

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