giovedì 6 aprile 2023

René Guénon - La crisi del mondo moderno | Cap. 6 parte VII - Il caos sociale

 

La crisi del mondo moderno

Cap. 6 - Il caos sociale

A questo punto occorre fermarci un istante per dissipare una possibile confusione: parlando dell’individualismo moderno, noi abbiamo considerato quasi esclusivamente le sue manifestazioni nell’ordine intellettuale; si potrebbe allora pensare che, per quanto attiene all’ordine sociale, le cose stiano diversamente.

In effetti, se si assumesse il termine «individualismo» secondo la sua accezione più ristretta, si potrebbe essere tentati di opporre la collettività all’individuo e di pensare che dei fatti come il ruolo sempre più invadente dello Stato e la crescente complessità delle istituzioni sociali, siano indice di una tendenza contraria all’individualismo. 

In realtà non è così, perché la collettività, essendo solo la somma degli individui, non può essere opposta a questi ultimi, al pari dello stesso Stato concepito alla maniera moderna, e cioè come semplice rappresentanza della massa, in cui non si riflette alcun principio superiore; ora, è precisamente nella negazione di ogni principio sopra-individuale che consiste veramente l’individualismo come noi lo abbiamo definito. 

Dunque, se nel dominio sociale vi sono dei conflitti fra tendenze diverse che appartengono tutte allo spirito moderno, tali conflitti non interessano l’individualismo da una parte e qualcos’altro dall’altra, ma riguardano semplicemente le molteplici varietà di cui è suscettibile l’individualismo stesso; ed è facile rendersi conto che, in assenza di ogni principio capace di unificare realmente la molteplicità, conflitti come questi devono essere molto più numerosi e più gravi nella nostra epoca di quanto non lo siano mai stati, poiché chi dice individualismo dice necessariamente divisione, e questa divisione, con lo stato caotico che essa genera, è la conseguenza fatale di una civiltà tutta materiale, in quanto che è la materia stessa ad essere propriamente la radice della divisione e della molteplicità.

Detto questo, bisogna ancora insistere su una conseguenza immediata dell’idea «democratica», che consiste nella negazione dell’élite intesa nella sua sola accezione legittima; non a caso «democrazia» si oppone ad «aristocrazia», visto che quest’ultima designa precisamente, almeno in base al suo significato etimologico, il potere dell’élite

Quest’ultima, in qualche modo per definizione, non può essere che la minoranza, ed il suo potere, o piuttosto la sua autorità, la quale deriva solo dalla sua superiorità intellettuale, non ha niente in comune con la forza numerica su cui poggia la «democrazia», la cui caratteristica essenziale è quella di sacrificare la minoranza alla maggioranza, ed anche, per ciò stesso, come abbiamo detto in precedenza, la qualità alla quantità, dunque l’élite alla massa. 

Ne consegue che il ruolo direttivo di una vera élite e la sua stessa esistenza, visto che essa svolge necessariamente un tale ruolo per il semplice fatto che esiste, sono radicalmente incompatibili con la «democrazia», la quale è intimamente legata alla concezione «egualitaria» e cioè alla negazione di ogni gerarchia; la base stessa dell’idea «democratica» è che un individuo qualunque ne vale un altro, in quanto sono uguali numericamente e nonostante possano esserlo solo numericamente.

Una vera élite, lo abbiamo già detto, non può essere che intellettuale; ed è per questo che la «democrazia» può instaurarsi solo laddove non esiste più la vera intellettualità, il che corrisponde perfettamente al caso del mondo moderno. Solo che, visto che l’uguaglianza di fatto è impossibile e visto che praticamente non si possono sopprimere tutte le differenze fra gli uomini, a dispetto di tutti gli sforzi di livellamento, si finisce, per un curioso sillogismo, con l’inventare delle false élite, peraltro molteplici, che pretendono di sostituirsi alla sola élite reale; e queste false élite sono basate sulla considerazione di superiorità qualsiasi, eminentemente relative e contingenti, e sempre d’ordine puramente materiale. 

Ci se ne può accorgere facilmente osservando che la distinzione sociale che vale di più, nel presente stato di cose, è quella che si fonda sulla ricchezza, vale a dire su una superiorità tutta esteriore e d’ordine esclusivamente quantitativo, la sola insomma che sia conciliabile con la «democrazia», poiché entrambe derivano dallo stesso punto di vista. 

Del resto, possiamo aggiungere che coloro stessi che si atteggiano ad avversari di questo stato di cose, non facendo intervenire neanche loro alcun principio di ordine superiore, sono incapaci di rimediare efficacemente ad un tale disordine, se addirittura non rischiano di aggravarlo ulteriormente spingendosi sempre più lontano nella stessa direzione; la lotta è solamente fra diverse varietà della «democrazia», che accentuano più o meno la tendenza «egualitaria», esattamente come accade, lo dicevamo prima, fra le varietà dell’«individualismo», tutte cose queste che in realtà sono una cosa sola.

Queste poche riflessioni ci sembrano sufficienti per caratterizzare lo stato sociale del mondo contemporaneo e per mostrare, al tempo stesso, che in questo ambito, come in tutti gli altri, non può esistere che un solo mezzo per venir fuori dal caos: la restaurazione dell’intellettualità e quindi la ricostituzione di un’élite, che in Occidente, attualmente, può essere considerata come inesistente, visto che non si può dare questo nome ad alcuni elementi isolati e senza coesione, i quali rappresentano in qualche modo solo delle possibilità non sviluppate. 

In effetti, questi elementi hanno, in genere, solo delle tendenze o delle aspirazioni, che li inducono indubbiamente a reagire contro lo spirito moderno, ma senza che la loro influenza possa esercitarsi in maniera effettiva; ciò che manca loro è la vera conoscenza, i dati tradizionali, che non si possono improvvisare, e ai quali un’intelligenza lasciata a se stessa, soprattutto in circostanze tanto sfavorevoli sotto molti aspetti, non può supplire che in maniera assai imperfetta e in misura assai debole. 

Si hanno dunque degli sforzi dispersi e che spesso si smarriscono, mancando di principi e di direzione dottrinale: si potrebbe dire che il mondo moderno si difende con la sua propria dispersione, alla quale i suoi stessi avversari non riescono a sottrarsi. E sarà così fintanto che costoro si atterranno al livello «profano», in cui lo spirito moderno ha un evidente vantaggio, visto che quello è il suo dominio proprio ed esclusivo; d’altronde, se costoro vi si attengono è perché tale spirito esercita ancora su di essi, malgrado tutto, una presa molto forte. 

È per questo che molte persone, pur animate da una incontestabile buona volontà, sono incapaci di comprendere che occorre necessariamente incominciare dai principi, e si ostinano a sperperare le loro forze in questo o in quel dominio relativo, sociale o di altro genere, in cui non può essere compiuto nulla di reale e di durevole viste le condizioni attuali. 

La vera élite, al contrario, non dovrebbe intervenire direttamente in questi domini né dovrebbe lasciarsi coinvolgere nell’azione esteriore; essa dirigerebbe tutto tramite un’influenza impercettibile per il volgo, e tanto più profonda per quanto meno apparente. 

Se si pensa alla potenza delle suggestioni di cui parlavamo prima, che fra l’altro non suppongono alcuna vera intellettualità, si può concepire che cosa sarebbe, a maggior ragione, la potenza di un’influenza che si esercitasse in maniera ancora più nascosta in ragione della sua natura e che avesse come fonte la pura intellettualità; potenza che, peraltro, non essendo sminuita dalla divisione inerente alla molteplicità e dalla debolezza che comporta tutto ciò che è menzogna o illusione, sarebbe intensificata per la concentrazione nell’unità principiale e si identificherebbe con la forza stessa della verità.

Scritto da René Guénon

La crisi del mondo moderno

Nessun commento:

Posta un commento