martedì 23 maggio 2023

René Guénon - La crisi del mondo moderno | Cap. 7 parte II - Una civiltà materiale

La crisi del mondo moderno

Cap. 7 - Una civiltà materiale

I moderni, in generale, non concepiscono altra scienza che quella delle cose che si misurano, si contano e si pesano, e cioè insomma delle cose materiali, poiché sono le sole a cui si possa applicare il punto di vista quantitativo; mentre la pretesa di ridurre la qualità alla quantità è del tutto caratteristica della scienza moderna. 

In questa ottica, si è giunti a credere che non vi possono essere delle scienze propriamente dette laddove non è possibile introdurre la misura, e che le leggi scientifiche sono solo quelle che esprimono delle relazioni quantitative; il «meccanicismo» di Cartesio ha segnato l’inizio di questa tendenza, che si è poi accentuata nonostante lo scacco della fisica cartesiana, ed infatti tale tendenza non è legata ad una determinata teoria, bensì ad una concezione generale della conoscenza scientifica. 

Ed oggi si vede applicata la misura fin nel dominio psicologico, che tuttavia le sfugge per la sua stessa natura, finendo col non comprendere più che la possibilità della misura si fonda solo su una proprietà inerente alla materia, proprietà che è quella della sua divisibilità indefinita, a meno che non si pensi che essa si estenda a tutto ciò che esiste, giungendo così a materializzare ogni cosa. 

È la materia, lo abbiamo già detto, il principio di divisione e della pura molteplicità; ed allora, la predominanza attribuita al punto di vista della quantità, che come abbiamo già visto si ritrova fin nel dominio sociale, è esattamente del materialismo inteso nel senso da noi prima indicato, quantunque essa non sia necessariamente legata al materialismo filosofico, che ha peraltro preceduto nello sviluppo delle tendenze dello spirito moderno.

Non insisteremo ulteriormente su ciò che vi è di illegittimo nel voler ridurre la qualità alla quantità, né su quanto vi è di insufficiente in tutti i tentativi di spiegazione che più o meno si riallacciano alla tipologia «meccanicista»; non è questo che ci proponiamo, e noteremo semplicemente che, nello stesso ordine sensibile, una scienza di questo genere ha pochissimi rapporti con la realtà, la cui parte più considerevole ad essa sfugge necessariamente.

A proposito di «realtà» siamo indotti a menzionare un altro fatto, che rischia di passare inosservato agli occhi di molti, ma che è assai degno di nota come segno della condizione di spirito di cui parliamo: ed è che questo termine, nell’uso corrente, è esclusivamente riservato alla sola realtà sensibile. Ora, dal momento che il linguaggio è l’espressione della mentalità di un popolo e di un’epoca, se ne deve concludere che, per coloro che si esprimono così, tutto ciò che non cade sotto i propri sensi è «irreale», vale a dire illusorio o perfino del tutto inesistente; è possibile che essi non ne siano chiaramente coscienti, ma ciò non toglie che questa convinzione negativa è pur sempre la loro, ed anche quando affermassero il contrario si può star certi, benché essi stessi non se ne rendano conto, che una tale affermazione corrisponderebbe per loro solo a qualcosa di molto più esteriore, se non addirittura ad una pura espressione verbale. 

Se si fosse tentati di credere che noi esageriamo, si dovrebbe solo cercare di vedere, per esempio, a cosa si riducono le pretese convinzioni religiose di molta gente: alcune nozioni apprese a memoria, in maniera tutta scolastica e meccanica, che non hanno per niente assimilato, sulle quali non hanno neanche riflettuto un po’, ma che conservano nella loro memoria e che ripetono per l’occasione in quanto facenti parte di un certo formalismo, di un’attitudine convenzionale che è tutto quello che essi possono comprendere col nome di religione. 

Abbiamo già parlato di questa «minimizzazione» della religione, di cui il «verbalismo» in questione rappresenta uno degli ultimi gradi; e questo spiega il fatto che dei sedicenti «credenti», in quanto a materialismo pratico, non sono secondi in niente ai «non credenti»; e ritorneremo ancora su questo punto; ma per adesso dobbiamo completare le considerazioni relative al carattere materialista della scienza moderna, poiché si tratta di una questione che necessita di essere considerata sotto diversi aspetti.

Ci serve ricordare ancora, quantunque lo avessimo già indicato, che le scienze moderne non hanno il carattere di una conoscenza disinteressata, e perfino in coloro stessi che credono al loro valore speculativo, quest’ultimo è solo una maschera sotto cui si nascondono delle preoccupazioni del tutto pratiche, ma che consente di conservare l’illusione di una falsa intellettualità. 

Lo stesso Cartesio, nel costituire la sua fisica, pensava soprattutto a farne un meccanismo, una medicina ed una morale; e con la diffusione dell’empirismo anglosassone si giunse a ben altro ancora; del resto, agli occhi del grande pubblico, ciò che costituisce il prestigio della scienza è dato quasi unicamente dai risultati pratici che essa permette di realizzare, poiché anche qui si tratta di cose che si possono vedere e toccare. Dicevamo che il «pragmatismo» rappresenta lo sbocco di tutta la filosofia moderna ed il suo ultimo grado di abbassamento; ma vi è anche, e da molto più tempo, al di fuori della filosofia, un «pragmatismo» diffuso e non sistematico che sta al primo come il materialismo pratico sta al materialismo teorico, e che si confonde con ciò che il volgo chiama il «buon senso». 

Questo utilitarismo quasi istintivo è, peraltro, inseparabile dalla tendenza materialista: il «buon senso» consiste nel non oltrepassare l’orizzonte terreno, al pari del non occuparsi di tutto ciò che non ha un interesse pratico immediato; è soprattutto per tale «buon senso» che il mondo sensibile è il solo mondo «reale» e che non vi è conoscenza che non venga dai sensi; ed è anche per esso che questa stessa conoscenza ristretta non vale che nella misura in cui permette di soddisfare dei bisogni materiali, e talvolta anche un certo sentimentalismo; poiché il sentimento è in realtà del tutto prossimo alla materia, e questo va detto chiaramente anche a costo di scioccare il «moralismo» contemporaneo. 

In tutto ciò, non resta alcun posto per l’intelligenza, se non in quanto essa acconsenta a servire per la realizzazione dei fini pratici, a non essere più che un semplice strumento sottomesso alle esigenze della parte inferiore e corporea dell’individuo umano, o, secondo una singolare espressione di Bergson, «un utensile per fare degli utensili». Ciò che costituisce il «pragmatismo» in tutte le sue forme è la totale indifferenza nei confronti della verità.

In queste condizioni, l’industria non è più solamente un’applicazione della scienza, applicazione da cui dovrebbe essere, di per sé, totalmente indipendente, ma è divenuta come la sua ragion d’essere e la sua giustificazione; di modo che, anche qui, i rapporti normali si trovano invertiti. 

Ciò a cui il mondo moderno ha dedicato tutte le sue forze, persino quando ha preteso di fare della scienza alla sua maniera, è in realtà nient’altro che lo sviluppo dell’industria e del «macchinismo»; e nel voler dominare la materia in tal modo e nel volerla piegare a proprio uso, gli uomini sono solo riusciti a diventarne gli schiavi, come dicevamo all’inizio: non solo hanno limitato le loro ambizioni intellettuali, se è ancora permesso servirsi di questa parola in un caso del genere, coll’inventare e col costruire delle macchine, ma sono giunti fino a diventare veramente essi stessi delle macchine. 

In effetti, la «specializzazione», così osannata da certi sociologi col nome di «divisione del lavoro», non si è imposta solo agli scienziati, ma anche ai tecnici e perfino agli operai, e per questi ultimi ogni lavoro intelligente è divenuto impossibile; ben diversamente dagli artigiani d’un tempo, essi non sono più che i servitori delle macchine, fanno, per così dire, un corpo solo con esse; devono ripetere incessantemente, in maniera del tutto meccanica, certi precisi movimenti, sempre gli stessi e sempre effettuati allo stesso modo, al fine di evitare la minima perdita di tempo; così almeno pretendono i metodi americani, che sono considerati come il grado più alto del «progresso». 

In effetti, si tratta unicamente di produrre il più possibile; ci si cura poco della qualità ed è solo la quantità che importa; ed eccoci ancora una volta di fronte alla constatazione che abbiamo già fatto in relazione ad altri ambiti: la civiltà moderna è veramente ciò che si può chiamare una civiltà quantitativa, e questo è un altro modo per dire che è una civiltà materiale.

Se ci si vuole convincere ancora meglio di questa verità, basta solo guardare al ruolo immenso che svolgono oggigiorno, nell’esistenza dei popoli ed in quella degli individui, gli elementi di ordine economico: industria, commercio, finanze; sembra che non vi sia altro che conti; il che si accorda con il fatto già segnalato che la sola distinzione sociale rimasta è quella fondata sulla ricchezza materiale. Sembra che il potere finanziario domini tutta la politica e che la concorrenza commerciale eserciti un’influenza preponderante sulle relazioni fra i popoli; forse si tratta solo di un’apparenza e queste cose non sono tanto delle vere cause quanto dei semplici mezzi d’azione; ma la scelta di tali mezzi indica bene il carattere dell’epoca alla quale essi si addicono.

 D’altronde, i nostri contemporanei sono persuasi che le circostanze economiche sono quasi gli unici fattori degli avvenimenti storici, ed immaginano perfino che è sempre stato così; ed in questa convinzione ci si è spinti fino ad inventare una teoria che pretende di spiegare tutto esclusivamente con l’economia, teoria che ha ricevuto il significativo appellativo di «materialismo storico».

 Anche qui è possibile notare l’effetto di una di quelle suggestioni di cui abbiamo parlato prima, suggestioni che agiscono tanto meglio per quanto più corrispondono alle tendenze della mentalità generale; e l’effetto di questa suggestione è che i mezzi economici finiscono per determinare realmente quasi tutto ciò che si produce nel dominio sociale. Senza dubbio, la massa è sempre stata guidata, in una maniera o in un’altra, e si potrebbe dire che il suo ruolo storico consiste soprattutto nel lasciarsi guidare, poiché essa non rappresenta che un elemento passivo, una «materia» in senso aristotelico; ma oggigiorno, per guidarla, basta disporre di mezzi puramente materiali, questa volta nel senso ordinario del termine; il che dimostra bene il grado di abbassamento della nostra epoca; e, al tempo stesso, si fa credere a questa stessa massa che non è guidata, che essa agisce spontaneamente e si governa da sé, ed il fatto che essa lo creda permette di comprendere fino a che punto possa arrivare la sua intelligenza.

Scritto da René Guénon

La crisi del mondo moderno

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