domenica 4 febbraio 2024

Non essere più colonia: una questione di educazione #prima parte | CULTURA

Non essere più colonia: una questione di educazione

Cambiare il paradigma scientifico educazionale. Per contrastare il dominio dell'inglese e per rendere effettivo il calcolatore.

Introduzione

Da tempo l’attività scientifica e tecnica, e in particolare quella elettronica, si basa su due caratteristiche chiave, l’uso della lingua inglese e l’impiego del calcolatore sia per calcolo e simulazioni, che per rappresentare l’informazione. Le comunità tecnico scientifiche riconoscono quelle prassi come fondamento e condizione necessaria per la validazione e la descrizione delle scoperte. L’uso dell’inglese e del calcolatore sono una consuetudine consolidata, diventata ormai un paradigma. Lo studio deve conformarsi a quel paradigma e ciò vale, in particolare, per gli studente che vogliono diventare membri di quella comunità scientifica con la quale più tardi dovranno collaborare. 

 Tommaso S. Kuhn

Come insegna Tommaso S. Kuhn, i ricercatori e scienziati apprendono i fondamenti della loro disciplina secondo uguali modelli concreti, e la loro attività successiva sarà in accordo con quelle regole fondamentali di tradizione di ricerca. Ci sono punti fermi, descritti in libri e manuali scientifici scritti in inglese che descrivono teorie riconosciute come valide e che illustrano molte o tutte le applicazioni coronate da successo e confrontano queste applicazioni con osservazioni ed esperimenti.

Esistono però limiti fondamentali all’approccio, principalmente dovuti all’uso della lingua inglese. È pur vero che comunicare in inglese è importante, perché collega tra loro realtà distanti, territorialmente e culturalmente. Nelle occasioni di incontro di ricercatori e tecnici provenienti da più parti del mondo, si possono condividere e formulare nuove idee, raffinare soluzioni e migliorare, globalmente, le capacità produttive. La collaborazione in ambito scientifico e tecnologico ha anche effetti benefici sull’innovazione specie se fatta da gruppi eterogenei, dato che le diverse “culture” compensano o annullano vicendevoli i pregiudizi cognitivi.

Il problema comunque è l’inglese. Questo è un grande vantaggio per i madre-lingua ma è un notevole svantaggio per gli altri. L’attività scientifica e tecnica non prescinde dalla propria cultura, identità e, in particolare, la lingua, il cui ruolo influenza da sempre ogni aspetto della vita. 

Dover usare l’inglese da un lato obbliga a “tradurre” i messaggi ma, ancor più, distorce le sensazioni che vengono scambiate con gli interlocutori madre-lingua. In aggiunta, si corre il rischio di iniziare a pensare in inglese, perdendo in questo modo aspetti culturali specifici della propria identità, senza diventare abili nelle attitudini anglosassoni. 

Questo secondo aspetto è rilevante, dato che le capacità matematiche e scientifiche degli anglosassoni sono limitate i quali, invece, hanno predisposizione ad aspetti organizzativi. Ne consegue una distinzione gerarchica tra chi produce innovazione e chi viene padroneggiato da chi è esperto in gestione. Questo è, in effetti, quello che succede frequentemente nelle Università americane: il professore non genera idee: queste sono frutto della creatività degli studenti stranieri, ma si occupa del procacciamento di fondi e di questioni di politica universitaria.

Differenze culturali e apprendimento

La cultura è, in senso antropologici ed etnologico, quel patrimonio sociale di una popolazione che viene tramandato di generazione in generazione. Esso comprende il modo di vita, le ideologie, le norme, i valori che si sono sviluppati e che influenzano l’attività entro la società. La loro trasmissione tra le generazioni dipende dall’efficacia dell’apprendimento. Lo studioso Geert Hofstede nel 1991 ha individuato quattro categorie per misurare la tendenza all’apprendimento linguistico. Possiamo usare alcuni degli stessi parametri per misurare la predisposizione all’apprendimento tecnico-scientifico.

Geert Hofstede

I parametri di Hofstede sono: distanza emotiva tra docente e studente, l’individualismo in opposizione al collettivismo, il genere e il rifiuto dell’incertezza. Questi quattro fattori sono influenzati dall’uso di una lingua non madre. La distanza emotiva tra “docente e studente” viene distorta. Nelle culture dove si da molta importanza alle relazioni gerarchiche, e si ha rispetto non solo alla “fonte di sapere” ma anche alla figura che lo trasmette. 

Si genera un improprio ossequio per che usa solo e in modo fluente la lingua straniera. Laddove c’è un grande rispetto, l’insegnate non solo è considerato fonte di sapere ma anche è un modello di comportamento. Ne consegue che, anche se in modo indiretto, attraverso la lingua straniera vengono impartiti modi di pensare e qualità morali e comportamentali non conformi alla propria cultura e tradizione. Per quanto riguarda il secondo parametro, l’uso di una lingua straniera limita le attività collettive; di conseguenza, spinge verso l’individualismo. 

Nelle società collettivistiche, dove l’apprendimento è favorito dalla collaborazione e da gruppi di studio, come ad esempio in Cina, la spinta verso l’individualismo porta a una minore efficacia dell’apprendimento. Il livello di incertezza è aumentato dall’uso di una lingua straniera. Si rende più difficile la memorizzazione, non solo quella superficiale ma anche quella che implica la comprensione di quanto appreso.

Scritto da Franco Maloberti

Franco Maloberti. Professore Emerito presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Informatica e Biomedica dell’Università di Pavia; è Professore Onorario all’Università di Macao, Cina, dove è stato insignito della Laurea Honoris Causa 2023.

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore, che non corrispondono necessariamente a quelle de "Lo Schiaffo 321". Immagini tratte dalla rete. Fonte: ariannaeditrice.it

Nessun commento:

Posta un commento