giovedì 8 febbraio 2024

René Guénon - La Metafisica orientale | parte IV

La Metafisica orientale*

René Guénon

Quarta Parte 

Ma ritorniamo alla realizzazione metafisica: la sua seconda fase si riferisce agli stati sovraindividuali, ma ancora condizionati, anche se le loro condizioni sono del tutto differenti da quelle dello stato umano. Qui il mondo dell’uomo, nel quale eravamo ancora nello stadio precedente, è completamente e definitivamente superato. 

Occorre dire di più: quello che è superato è il mondo delle forme nella sua accezione più generale, mondo che comprende tutti gli stati individuali, quali essi siano, poiché la forma è la condizione comune a tutti questi stati, la condizione per cui è definita l’individualità in quanto tale. L’essere, che non può più venir detto umano, è ormai uscito dalla «corrente delle forme», secondo l’espressione estremo-orientale. 

Ci sarebbero però ancora altre distinzioni da fare, poiché questa fase può essere suddivisa: essa comporta in realtà diverse tappe, che vanno dall’ottenimento di stati che ‑ seppure informali ‑ appartengono ancora all’esistenza manifestata, fino al grado di universalità che è dell’essere puro.

E tuttavia, per quanto elevati siano tali stati in rapporto allo stato umano, per quanto lontani essi siano da quest’ultimo, sono ancora soltanto relativi, e ciò è vero anche del più alto fra di loro, quello che corrisponde al principio di ogni manifestazione. Il loro possesso non è perciò se non un risultato transitorio, risultato che non deve venir confuso con il fine ultimo della realizzazione metafisica; questo fine è situato di là dall’essere, e in rapporto a esso tutto il resto costituisce soltanto un avvio e una preparazione. 

Questo fine supremo è lo stato assolutamente incondizionato, affrancato da qualsiasi limitazione; proprio per questo motivo esso è totalmente inesprimibile, e tutto quel che se ne può dire si traduce soltanto in termini di forma negativa: negazione dei limiti che determinano e definiscono ogni esistenza nella sua relatività. L’ottenimento di questo stato corrisponde a quella che la dottrina indù denomina la «Liberazione», quando la consideri in rapporto agli stati condizionati, oppure l’«Unione», quando la veda in rapporto al Principio supremo.

In questo stato incondizionato tutti gli altri stati dell’essere si ritrovano del resto in modo principiale, ma trasformati, svincolati dalle condizioni specifiche che li determinavano in quanto stati particolari. Ciò che permane è quel che ha una realtà positiva, giacché è qui che tutto ha il suo principio; l’essere «liberato» è veramente in possesso della pienezza delle sue possibilità. Quelle che sono scomparse sono soltanto le condizioni limitative, la cui realtà è esclusivamente negativa, dal momento che esse non rappresentano se non una «privazione» nel senso in cui Aristotele intendeva la parola. Per cui, ben lungi dall’essere una sorta di annichilimento come qualche occidentale immagina, questo stato finale è al contrario la pienezza assoluta, la realtà suprema nei cui confronti tutto il resto è soltanto illusione.

Aggiungiamo inoltre che qualsiasi risultato, anche parziale, che l’essere ottenga nel corso della realizzazione metafisica, è ottenuto in modo definitivo. Simile risultato costituisce per tale essere un’acquisizione permanente, che nulla gli potrà mai far perdere; il lavoro compiuto in questo dominio, quand’anche venga a interrompersi prima del suo termine finale, è fatto una volta per tutte, per la buona ragione che è fuori del tempo. Ciò è vero persino della semplice conoscenza teorica, poiché ogni conoscenza porta i suoi frutti in se stessa, in questo ben diversa dall’azione, la quale è soltanto una modificazione momentanea dell’essere ed è sempre separata dai suoi effetti. 

Questi ultimi, d’altronde, appartengono allo stesso ambito e sono dello stesso ordine di esistenza di quel che li ha prodotti; l’azione non può avere come effetto di liberare dall’azione, e le sue conseguenze non si estendono di là dai confini dell’individualità, intesa del resto nell’integralità dell’estensione di cui è capace. L’azione, qualunque essa sia, non essendo opposta all’ignoranza, che è la radice di ogni limitazione, non ha la virtù di farla svanire: solo la conoscenza dissipa l’ignoranza, come la luce del sole dissipa le tenebre, e allora il «», l’immutabile ed eterno principio di tutti gli stati manifestati e non manifestati appare nella sua suprema realtà.

Dopo questo abbozzo molto imperfetto, il quale non dà sicuramente se non un’idea assai approssimativa di cosa può essere la realizzazione metafisica, occorre fare un’osservazione del tutto essenziale al fine di evitare gravi errori di interpretazione: ed è che tutto ciò di cui abbiamo parlato qui non ha nessun rapporto con cose che siano fenomeni, più o meno straordinari. Tutto ciò che è fenomeno è di ordine fisico; la metafisica è di là da questi fenomeni; e noi intendiamo tale parola nella sua generalità più ampia. 

Da ciò discende, fra altre conseguenze, che gli stati dei quali abbiamo trattato non hanno assolutamente nulla di «psicologico»; questo bisogna dirlo decisamente, perché a tal proposito si sono generate strane confusioni. La psicologia, per sua stessa definizione, non può aver presa che su stati umani, e per di più, così come la si intende oggi, essa non tocca se non una zona molto ristretta fra le possibilità dell’individuo, possibilità che vanno molto più lontano di quanto gli specialisti di questa scienza non possano supporre. 

L’individuo umano, in effetti, è allo stesso tempo molto di più e molto di meno di quanto non si pensi in genere in Occidente: esso è molto di più, a motivo delle sue possibilità di estensione indefinita al di là della modalità corporea, alla quale si riferisce in fin dei conti tutto quel che se ne studia comunemente; ma è anche molto di meno. in quanto, ben lungi dal costituire un essere completo e sufficiente a se stesso, esso è soltanto una manifestazione esteriore, un’apparenza fuggevole rivestita dall’essere vero, e dalla quale l’essenza di quest’ultimo non è assolutamente influenzata nella sua immutabilità.

Su questo punto, cioè sul fatto che l’ambito metafisico è totalmente al di fuori del mondo fenomenico, occorre insistere, perché i moderni abitualmente conoscono e ricercano soltanto i fenomeni; essi si interessano quasi esclusivamente a questi ultimi, cosa di cui testimonia del resto lo sviluppo da essi dato alle scienze sperimentali; e la loro inettitudine metafisica discende dalla stessa tendenza. 

Senza dubbio può accadere che certi fenomeni speciali si producano nel corso del lavoro di realizzazione metafisica, ma in modo del tutto accidentale: si tratta allora di un risultato abbastanza increscioso, giacché le cose di questo genere possono soltanto essere un ostacolo per chi fosse tentato di attribuirvi una qualche importanza. 

Colui che si lascia fermare e distogliere dalla sua via a causa dei fenomeni, colui, soprattutto, che si lascia andare nella ricerca di «poteri» eccezionali, ha ben poche probabilità di spingere la realizzazione più lontano del grado al quale è già arrivato quando tale deviazione sopraggiunge.

Questa osservazione ci porta naturalmente a rettificare alcune interpretazioni errate che si sono diffuse per quanto riguarda il termine «Yoga»; non si è forse talvolta preteso, in effetti, che ciò che gli indù denominano con tale parola è lo sviluppo di certi poteri latenti dell’essere umano? 

Quanto abbiamo detto è sufficiente a far vedere che tale definizione deve essere respinta. In realtà la parola «Yoga» è quella che noi abbiamo tradotto il più letteralmente possibile con «Unione»; quello che essa indica in modo proprio è perciò lo scopo supremo della realizzazione metafisica; e lo «Yogi», a volerlo intendere nel suo significato più rigoroso, è unicamente colui che ha raggiunto questo scopo. È a ogni buon conto vero che, per estensione, questi stessi termini sono ‑ in certi casi ‑ applicati anche a stadi preparatori all’«Unione», o anche a semplici mezzi preliminari, e all’essere che è arrivato a tali stadi o che si serve di simili mezzi per pervenirci. 

Ma come si fa a sostenere che una parola il cui significato originario è «Unione» possa indicare propriamente e prima d’ogni altra cosa degli esercizi di respirazione o qualche altra cosa di questo genere? Simili esercizi e altri, fondati generalmente su quella che possiamo chiamare la scienza del ritmo, figurano effettivamente fra i mezzi più usitati in vista della realizzazione metafisica; ma non si vada a prendere per il fine ciò che è soltanto un mezzo contingente e accidentale, e non si prenda – analogamente – per il significato originario di una parola quella che di essa non è se non un’accezione secondaria e più o meno deviata.

Parlando di ciò che originariamente è lo «Yoga», e dicendo che tale parola ha sempre voluto indicare essenzialmente la stessa cosa, si può pensare di sollevare una questione della quale non abbiamo finora detto nulla: qual è l’origine delle dottrine metafisiche tradizionali dalle quali assumiamo tutti i dati che stiamo esponendo? 

La risposta è semplicissima, anche se rischia di suscitare le proteste di coloro che vorrebbero tutto vedere da un punto di vista storico: ed è che origine non c’è; intendiamo dire con ciò che non esiste origine umana, tale da essere determinata nel tempo. 

In altri termini, l’origine della tradizione, se pure la parola origine in un caso simile ha ancora una ragione di essere, è «non-umana» come la metafisica stessa. Le dottrine di quest’ordine non sono apparse in un momento qualsivoglia della storia dell’umanità: l’allusione da noi fatta allo «stato primordiale», e inoltre ‑ d’altro canto ‑ quel che abbiamo detto del carattere intemporale di tutto ciò che è metafisico, dovrebbero permettere di capirlo senza troppa difficoltà, a condizione che ci si rassegni ad ammettere, contrariamente a certi pregiudizi, che ci sono cose alle quali il punto di vista storico non è assolutamente applicabile. La verità metafisica è eterna; di conseguenza ci sono sempre stati esseri che hanno potuto conoscerla realmente e totalmente. 

Quel che può cambiare non sono che forme esteriori, mezzi contingenti; e questo stesso cambiamento non ha nulla di quel che i moderni chiamano «evoluzione»; esso è un semplice adattamento a queste o quelle condizioni particolari, alle condizioni specifiche di una razza o di un’epoca determinata. Da ciò discende la molteplicità delle forme; ma il fondo della dottrina non ne risulta minimamente modificato o influenzato, così come l’unità e l’identità essenziali dell’essere non sono alterate dalla molteplicità dei suoi stati di manifestazione.

Scritto da René Guénon

La Metafisica orientale*

* Conferenza tenuta il 17 dicembre 1925 a La Sorbonne di Parigi tratto da Scienza Sacra.

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