domenica 6 febbraio 2022

René Guénon - La crisi del mondo moderno | Cap. 1 - L'età oscura (seconda parte)

La crisi del mondo moderno

Cap. 1 - L'età oscura

È facile comprendere che questi dati tradizionali, che qui dobbiamo limitarci a presentare in maniera molto sommaria, permettono di concepire delle vedute ben diverse da tutti i saggi di «filosofia della storia» a cui si dedicano i moderni, vedute di ben altra vastità e profondità. Ma, per il momento, non pensiamo certo di risalire alle origini del presente ciclo e nemmeno, più semplicemente, agli inizi del Kali-Yuga

le nostre intenzioni, almeno in maniera diretta, si fermano ad un ambito molto più limitato e cioè alle ultime fasi del Kali-Yuga. In effetti, all’interno di ciascuno dei grandi periodi di cui abbiamo parlato prima, è possibile distinguere delle ulteriori fasi secondarie, che ne costituiscono altrettante suddivisioni; e, siccome ogni parte è in qualche modo analoga al tutto, queste suddivisioni riproducono, per così dire in scala più ridotta, il moto generale del grande ciclo nel quale si integrano; e anche in questo caso, una ricerca completa sul come una tale legge possa applicarsi alle diverse situazioni particolari ci condurrebbe ben al di là del limiti di questo studio.

Per completare queste considerazioni preliminari, accenneremo solamente ad alcune delle ultime epoche particolarmente critiche che ha attraversato l’umanità: quelle che rientrano nel periodo che si usa chiamare «storico», perché questo è effettivamente il solo che sia veramente accessibile alla storia ordinaria o «profana»; e questi cenni ci condurranno, in maniera del tutto naturale, a ciò che costituisce l’oggetto proprio del presente studio, dal momento che l’ultima di queste epoche critiche non è altra che quella costituita da ciò che si chiamano tempi moderni.

Vi è un fatto alquanto strano, che sembra non sia mai stato sottolineato come merita: il periodo propriamente «storico», nel senso da noi prima indicato, risale esattamente al VI secolo prima dell’era cristiana, come se a quel punto si avesse, nel tempo, quasi una barriera impossibile da infrangere con l’aiuto dei mezzi di indagine di cui dispongono i ricercatori ordinari. 

In effetti, a partire da questa epoca si possiede ovunque una cronologia molto precisa e chiaramente stabilita; mentre, per tutto ciò che è anteriore generalmente si giunge solo ad una approssimazione molto vaga e le date proposte per gli stessi avvenimenti variano spesso di parecchi secoli. E colpisce non poco il fatto che questo accada perfino per quei paesi di cui si possiedono ben più che delle semplici sparse vestigia, come l’Egitto per esempio; 

mentre la cosa che forse stupisce ancor di più è che in un caso eccezionale e privilegiato come è quello della Cina, che possiede degli annali relativi a delle epoche molto più lontane, annali che sono datati per mezzo dell’osservazione astronomica e che quindi non dovrebbero lasciar adito ad alcun dubbio, i moderni continuano a classificare tali epoche come «leggendarie», come se si trovassero al cospetto di un dominio per il quale non riconoscono a se stessi alcuna possibilità di certezza né alcuna possibilità di ottenerne.

L’antichità detta «classica» non è dunque, a dire il vero, che una antichità del tutto relativa, e perfino molto più prossima ai tempi moderni di quanto lo sia l’antichità vera, poiché essa risale solo alla metà del Kali-Yuga, la cui stessa durata, in base alla dottrina indù, non è che la decima parte di quella del Manvantara; 

da questo si potrà giudicare a sufficienza fino a che punto i moderni abbiano ragione di andar fieri dell’estensione delle proprie conoscenze storiche! 

Ma costoro risponderanno senza dubbio, a mo’ di giustificazione, che in tutto ciò si tratta solo di periodi «leggendari» ed è per questo che essi ritengono di non doverne tenere conto; ma una tale risposta equivale esattamente ad una confessione di ignoranza e dimostra una incomprensione che è la sola che possa spiegare il loro disprezzo per la tradizione; e in effetti, lo spirito specificamente moderno non è altro che lo spirito antitradizionale, come avremo modo di spiegare più avanti.


Nel corso del VI secolo prima dell’era cristiana sono avvenuti dei cambiamenti considerevoli presso quasi tutti i popoli, quale che sia stata la loro causa e anche se essi hanno avuto delle caratteristiche diverse a seconda dei paesi interessati. 

In certi casi si è trattato di un riadattamento della tradizione nei confronti di condizioni differenti da quelle che esistevano prima, riadattamento compiuto in un senso rigorosamente ortodosso: è il caso della Cina, per esempio, ove la dottrina, anteriormente costituita da un unico insieme, venne divisa in due parti nettamente distinte, il Taoismo, riservato ad una élite e comprendente la metafisica pura e le scienze tradizionali d’ordine puramente speculativo, e il Confucianesimo, comune a tutti indistintamente e il cui dominio comprendeva le applicazioni pratiche e principalmente sociali. Presso i Persiani, sembra che si sia avuto parimenti un riadattamento del Mazdeismo, fu quella infatti l’epoca dell’ultimo Zoroastro[2].

In quel periodo, in India nacque il Buddhismo, che, al di là di ciò che possa essere stato il suo carattere originario, doveva invece sfociare, almeno in alcune delle sue branche, in una rivolta contro lo spirito tradizionale, giungendo fino alla negazione di ogni autorità, fino ad una vera anarchia, nel senso etimologico di «assenza di principio», sia nell’ordine intellettuale che nell’ordine sociale[3].

 La cosa curiosa è che in India non si trova alcun monumento che risalga a prima di questa epoca, e gli orientalisti, che vogliono far cominciare tutto dal Buddhismo di cui esagerano singolarmente l’importanza, hanno cercato di trar partito da questa constatazione, a favore della loro tesi; tuttavia la spiegazione del fatto è abbastanza semplice: è che tutte le costruzioni anteriori erano in legno, di modo che esse sono scomparse naturalmente senza lasciare alcuna traccia [4]

la cosa vera è che un tale cambiamento nel modo di costruire corrisponde necessariamente ad una profonda modificazione delle condizioni generali d’esistenza del popolo presso cui si è prodotto.

Accostandoci all’Occidente, constatiamo che, presso gli Ebrei, quest’epoca fu quella della cattività babilonese, e la cosa che forse stupisce di più è che un breve periodo di settant’anni possa essere bastato per far perder loro perfino la scrittura, tanto che in seguito dovettero ricostruire i Libri sacri con dei caratteri del tutto diversi da quelli usati fino ad allora. 

E si potrebbero citare ancora ben altri avvenimenti che si rifanno più o meno alla stessa data: ricorderemo solamente che per Roma si trattò dell’inizio del periodo propriamente «storico», che era stato preceduto dall’epoca «leggendaria» dei re; mentre si sa anche, quantunque in maniera un po’ vaga, che presso i popoli celtici si produssero allora degli importanti movimenti; ma senza voler insistere ulteriormente, vediamo che cosa accadde in Grecia. 

Anche lì, il VI secolo fu il punto di partenza della civiltà cosiddetta «classica», la sola alla quale i moderni riconoscono il carattere «storico», mentre tutto ciò che precede è molto mal conosciuto, tanto da essere considerato come «leggendario», nonostante le recenti scoperte archeologiche non permettono più di dubitare che, perlomeno, vi fu una civiltà molto reale; e noi abbiamo più di una ragione per pensare che questa prima civiltà ellenica fosse molto più interessante intellettualmente di quella che l’ha seguita, mentre i loro rapporti presenterebbero qualche analogia con quelli esistenti fra l’Europa del Medio Evo e l’Europa moderna

Tuttavia, è necessario notare che la rottura non fu così radicale come in quest’ultimo caso, poiché si ebbe, almeno parzialmente, un riadattamento effettuato nell’ordine tradizionale, principalmente nel dominio dei «misteri», a cui bisogna ricollegare il Pitagorismo che fu soprattutto una restaurazione del precedente Orfismo, sotto una nuova forma, ed i cui legami evidenti con il culto delfico dell’Apollo iperboreo permettono perfino di prendere in considerazione una filiazione continua e regolare con una delle più antiche tradizioni dell’umanità. 

D’altra parte, si vide subito apparire qualcosa di cui non vi era ancora alcun esempio, e che doveva in seguito esercitare un’influenza nefasta su tutto il mondo occidentale: intendiamo parlare di quel particolare modo di pensare che prese e conservò il nome di «filosofia»; ed è questo un punto molto importante che merita alcune considerazioni.

Scritto da René Guénon

La crisi del mondo moderno

note:

[2] Occorre notare che il nome di Zoroastro designa, in realtà, non un particolare personaggio, ma una funzione, ad un tempo profetica e legislativa; vi furono diversi Zoroastri che vissero in epoche molto diverse; ed è perfino verosimile che questa funzione abbia avuto un carattere collettivo, al pari di quella di Vyâsa in India; così come in Egitto ciò che venne attribuito a Thoth o Hermes rappresenta l’opera di tutta la casta sacerdotale. 

[3] In realtà, la questione del Buddhismo è lungi dall’essere così semplice come sembrano mostrare queste brevi considerazioni; ed è interessante notare che se gli Indù, dal punto di vista della loro tradizione, hanno sempre condannato il Buddhismo, molti fra loro professano nondimeno un grande rispetto per lo stesso Buddha, ed alcuni arrivano perfino a considerarlo il nono Avatâra, mentre altri identificano quest’ultimo con il Cristo. D’altra parte, per quanto attiene il Buddhismo così come lo si conosce oggigiorno, occorre accuratamente distinguere fra le due sue forme del Mahâyâna e dell’Hinayâna, o del «Grande Veicolo» e del «Piccolo Veicolo»; in linea generale si può dire che il Buddhismo, fuori dall’India, differisce notevolmente dalla sua forma indiana originaria, la quale incominciò a perdere terreno dopo la morte di Ashoka e sparì completamente alcuni secoli più tardi. 

[4] Questo caso non è certo specifico dell’India e si riscontra anche in Occidente; è esattamente per lo stesso motivo che non si trova alcun vestigio delle città galliche, la cui esistenza è tuttavia incontestabile, essendo attestata da testimonianze dell’epoca; ed anche in questo caso gli storici moderni hanno approfittato di questa assenza di monumenti per dipingere i Galli come dei selvaggi che vivevano nelle foreste. 

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