martedì 15 febbraio 2022

TERZA GUERRA MONDIALE - Gli americani hanno paura di perdere l'Europa. L'approfondimento di Dario Fabbri | POLITICA

"GLI AMERICANI HANNO PAURA DI PERDERE L’EUROPA"

L'APPROFONDIMENTO DI DARIO FABBRI

Nei manuali di storia russi, Vladimiro Putin non vuole essere ricordato come colui che ha perso l’Ucraina si legge sulle colonne digitali di Dissipatio, una voce alternativa che ha intervistato Dario Fabbri, analista geopolitico e giornalista, consigliere scientifico e coordinatore per l'America di Limes, rivista italiana di geopolitica. Lo Schiaffo 321 riporta, per le lettrici ed i lettori, le domande di Sacha Cepparulo e le risposte dell'opinionista.

Dario Fabbri 

d- È dal 2008 che la Russia, dopo aver compreso che dall’Occidente non otterrà quel tanto agognato riconoscimento della legittimità dei propri interessi e dello status di potenza e/o super potenza, ha chiaramente fatto capire al mondo che è disposta a difendere anche con le armi quelli che considera (e non a torto) i suoi interessi vitali. Da questo punto di vista il 2014 segna un punto di non ritorno: a questo proposito volevo chiederti quale fosse a tuo modo di vedere la strategia americana di medio-lungo termine. Al di là dei giudizi di valore è ormai evidente che l’inclusione nella NATO di alcuni dei paesi dell’ex blocco sovietico ha causato molte tensioni nei rapporti con la Russia (e non solo).   

r- La tattica americana attuata attraverso l’inclusione nella NATO dei Paesi appartenenti all’ex blocco sovietico e storicamente sotto l’influenza russa ha come obiettivo quello di contenere la Russia e spingerla verso il suo interno. Gli Stati Uniti ritengono (e in questo caso non a torto) che se la Russia fosse liberata da questa azione di contenimento il controllo dell’Europa diventerebbe molto difficile. Gli americani hanno paura di perdere l’Europa e vedono nel contenimento della Russia la tattica essenziale per la realizzazione di questo obiettivo strategico. La Russia gode di ottime relazioni con la Francia e l’Italia, paesi con i quali nel caso di un allentamento della pressione statunitense potrebbe firmare accordi bilaterali. 

Per comprendere le dinamiche che caratterizzano gli avvenimenti di questi giorni relativi alla crisi ucraina bisogna considerare che il contenimento è una tattica cinetica, cioè consiste in puro movimento:

una volta innescato il contenimento non può essere controllato e fermato nemmeno dai suoi agenti. Se gli americani potessero realmente decidere in questo momento opterebbero per un allentamento del contenimento nei confronti della Russia: al momento gli USA sono concentrati sui propri problemi interni e, soprattutto, sul contenimento marittimo della Cina. 

Proprio per questo l’avanzamento della NATO nei paesi dell’ex blocco sovietico e storicamente sotto la sfera di influenza russa viene gestita da polacchi, romeni e baltici. Come polacchi e romeni, i baltici hanno una fissazione antirussa. 

Questo naturalmente non significa che gli americani non considerino utile e importante questa situazione, ma al momento essa non costituisce un obiettivo urgente ma di lungo termine. Il principale teatro attuale è quello cinese e precisamente quello dell’Indo-Pacifico. Gli americani però non possono tralasciare il dossier ucraino. Il nocciolo dell’intera questione sta nel fatto che dal 2014 la parte centro-occidentale del Paese esce dall’orbita russa (senza considerare per il momento la parte est dove si parlano polacco e romeno). Putin ritiene a ragione che in questo momento per gli Stati Uniti sia più conveniente trattare. In realtà ciò conveniva agli USA anche due anni fa: 

non ha alcun senso avere contemporaneamente due nemici. La Russia sta dicendo agli Stati Uniti che se non vogliono due nemici devono avviare una tregua e abbandonare le proprie pretese nell’estero vicino russo cioè in Ucraina, in Georgia (dove gli sviluppi dell’azione americana sono ancora imprevedibili), e in Bielorussia. 

d- Hai parlato dell’importanza strategico-geopolitica che l’Europa riveste in diversi sensi sia per la Russia sia per gli USA. A questo proposito ti vorrei chiedere come consideri la cosiddetta “svolta verso est” della Russia, cioè verso la Cina. Da un lato sono molti gli analisti e i teorici che in questo vedono la realizzazione della componente euroasiatica della Russia, mentre dall’altro la Russia nella sua storia sembra ciclicamente tornare sempre verso l’Europa. 

r- Io da sempre ho creduto poco alla Russia che si muove verso Oriente. Ciò non vuol dire che la svolta verso Oriente non sia reale, ma per i russi è sempre stata un piano B. La Russia è naturalmente distinta dell’Europa ma bisogna considerare che i russi si percepiscono uniti agli altri popoli del Vecchio Continente in base a un senso europeo molto diverso da quello che intendiamo noi. Per dirla in maniera cruda questo sentimento russo di appartenenza europea consiste nella vicinanza razziale, i russi sono e si sentono bianchi. 

Se in generale i russi fanno fatica a trovare e soprattutto a mantenere relazioni stabili con partner strategici, nell’area asiatica si aggiunge il fatto che non hanno un grande feeling con nessuno. Proprio per questo l’apertura e il ripiego verso est non sono mai stati la scelta principale della Russia

Nella sua storia la Russia si scopre europea quando invade la Siberia e si rende conto di come gli autoctoni originari dell’area fossero molto diversi dai russi europei. La Russia usa l’Asia per ricordare al mondo la sua estensione geografica, ma il cuore del paese è la Russia europea (Mosca, San Pietroburgo e in parte il Caucaso).

d- Dopo aver discusso la natura della svolta verso est della Russia ti vorrei chiedere come inquadri da questo punto di vista la crisi in Kazakistan e il successivo sostegno militare russo. A cosa punta la Russia? Da un certo punto di vista sostenere così apertamente una parte di una classe dirigente che ormai è divisa in clan e profondamente segnata da lotte di potere intestine sembra essere rischioso.

r- È vero, ma questo non è l’unico elemento di rischio per la Russia. La rivoluzione abortita in Kazakistan è una rivoluzione diversa da quella colorate, naturalmente ci può essere qualcosa di comune, ma l’elemento essenziale che caratterizza il caso kazako sta nel fatto che all’opposizione al governo e alla classe dirigente si è unito un forte sentimento turcofilo e antirusso. Le rivolte sono iniziate nella periferia occidentale del paese per poi estendersi alla nuova (Nur Sultan, cioè l’ex Astana) e vecchia capitale (Almaty) e fin da subito sono state caratterizzate da slogan antirussi.

Come nella maggior parte dei Paesi ex sovietici il malcontento popolare è dovuto anche in questo caso alla forte corruzione dei principali apparati dello Stato e alla transizione del potere appena abbozzata (a cui si era ispirata anche l’opposizione bielorussa con la proposta di una costituzione volta a questo obiettivo). Per comprendere il sentimento antirusso di queste rivolte si deve tenere conto dell’elemento antropologico che caratterizza le nuove generazioni. Non avendo vissuto nemmeno la perestrojka di Gorbačёv le nuove generazioni kazake non sopportano la vicinanza politico-culturale della classe dirigente alla Russia. I coloni russi che durante l’Unione Sovietica si erano trasferiti in Kazakistan non si sono mai assimilati alla popolazione locale, ciò spiega il loro sempre più cospicuo ritorno in madrepatria. Queste nuove generazioni hanno in mente un Kazakistan che torni al proprio spazio etnico-culturale autentico, cioè a quello turco. Infatti, Erdoğan non ha perso l’occasione e si è intromesso in questo crisi.

Il secondo rischio di cui parlavo consiste quindi nel fatto che l’intervento militare di Mosca messo in atto con l’obiettivo di stroncare le proteste può avere l’effetto di esacerbare questo sentimento antirusso; d’altro canto, bisogna anche tenere presente che dal punto di vista russo in questo momento non si poteva fare altrimenti. Questo spiega anche l’appoggio cinese a favore della Russia. Il Kazakistan è un importantissimo snodo della via della seta e la natura di queste rivendicazioni potrebbe diventare la causa di disordini e proteste nel cosiddetto Turkestan orientale, cioè in quella regione situata a nord-est della Cina abitata principalmente dagli Uiguri.

d- Il riconoscimento dello status di potenza e-o super potenza da parte dei paesi occidentali e precisamente europei è sempre stato per la Russia un fattore altamente importante. Il mancato riconoscimento di questo status ha molto spesso influito negativamente sulle relazioni fra la Russia e l’Occidente (penso per esempio ai vari tentavi da parte russa del primo decennio del nuovo millennio e alla conseguente incrinatura dei rapporti nel 2012-2013). Questa incomprensione da parte europea è per te ideologica, cioè dovuta al fatto che i paesi dell’Europa occidentale appartengono alla NATO e al blocco americano, o strutturale, cioè dovuta a ragioni storico-geografiche obiettive e più profonde?

r- Ritengo che ciò sia dovuto a entrambi questi fattori. Da un lato l’aspetto ideologico pro-America esiste ed è molto radicato anche nella società civile, dall’altro anche prima dell’entrata in scena degli Stati Uniti nella storia europea la Russia non è mai stata capita fino a fondo, come si trattasse di un alieno catapultato sul continente europeo.

Fra Italia e Russia ci sono sempre state ottime relazioni non solo dal punto di vista geopolitico, ma anche culturale. A differenza di altri popoli europei gli italiani sono molto ben disposti verso i russi, che naturalmente non vengono considerati dagli italiani come simili ma come appartenenti ad una civiltà differente. Data la lontananza geografica la Russia non mette paura. Naturalmente le generazioni cresciute durante la guerra fredda avvertono di più il distacco, ma un’incomprensione di fondo esiste da sempre.

d- Molto spesso sottolinei come Putin sia un ottimo tattico, ma non un ottimo stratega. Mi potresti spiegare la differenza di questi due concetti dal punto di vista geopolitico e fare qualche esempio?

r- Certo. La strategia corrisponde ai propositi assoluti e ancestrali che devono necessariamente essere assolti da una collettività perché essa viva. Pertanto, la strategia non si inventa, essa esiste e deve essere riconosciuta. Ciò non è affatto semplice. Il compito del tattico invece è quello di realizzare la strategia più o meno riconosciuta. La strategia è il proposito finale, mentre la modalità attraverso la quale si persegue è la tattica (per esempio attraverso la guerra, la propaganda, azioni economiche mirate, gli idrocarburi etc.).

Per quanto riguarda la fattispecie in questione, Putin conosce la strategia ma non riesce mai a centrarla del tutto non per propri demeriti intellettuali, ma per mancanza di mezzi. Putin rischia di essere l’uomo che nei manuali di storia russi e non solo sarà ricordato come colui che ha perso l’Ucraina. Nel 2014 Putin si è letteralmente fatto soffiare via l’Ucraina, non essendo stato capace di gestire la situazione. Quando dico Putin intendo naturalmente Putin e il suo entourage. Nella sua parabola politica il secondo avvenimento nel quale è stato evidente il mancato perseguimento di un obiettivo strategico è stata l’incapacità fino agli anni duemila di utilizzare i proventi degli idrocarburi, in un momento in cui i prezzi erano molto alti, per riformare l’economia russa e provare a industrializzare il paese in maniera seria. Quindi lo sviluppo reale del Paese e la crisi ucraina del 2014 sono stati i suoi principali difetti strategici.

Tatticamente invece la sua azione è corretta. Come ho già detto in questo momento il teatro di maggior rilevanza strategica per gli USA è quello dell’Indo-Pacifico. Bisogna anche dire che una tattica corretta non è la condizione necessaria e sufficiente per il perseguimento dell’obiettivo in questione. In questo caso ciò dipende dalle scelte degli apparati statunitensi che ora chiudono ai russi per paura di perdere l’Europa che, nonostante tutto, rimane il continente più importante; gli americani lo sanno e non vogliono perderlo. Si può anche dominare l’intera Asia, ma il prestigio culturale e la potenza economica dell’Europa rimangono per il momento superiori. Da parte sua Putin non vuole invadere l’Ucraina e perciò si è determinata l’attuale situazione di stallo.

Dissipatio è una cellula mediatica che si muove nello spaziotempo attraverso la produzione di approfondimenti, analisi e scenari strettamente collegati all’attualità quanto alle meccaniche dello spirito della nostra epoca (un progetto del Gruppo Editoriale MAGOG). Da Gennaio 2022, nell'etere.

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