venerdì 4 giugno 2021

L'IMBOSCATA - Battaglia delle Forche Caudine 321 a.C. | CAUDIUM

L'imboscata - Battaglia delle Forche Caudine 321 a.C

Dopo aver rivolto ai Sanniti queste profetiche parole non meno vere che di buon augurio, si mise alla testa dell'esercito andando ad accamparsi nei pressi di Caudio con la maggior segretezza possibile. Di lì inviò dieci soldati travestiti da pastori a Calazia, dove gli era giunta voce si trovassero già il console e l'accampamento romani, e ordinò loro di pascolare il bestiame vicino alle guarnigioni armate dei Romani, a distanza l'uno dall'altro. 

Nel caso si fossero poi imbattuti in predatori nemici, avrebbero dovuto riferire tutti la stessa storia, e cioè che gli eserciti sanniti si trovavano in Apulia, che erano impegnati ad assediare Luceria con tutte le forze e ormai stavano per prenderla d'assalto.

Questo tipo di voci, messe in circolo a bella posta in precedenza, era gia' arrivato alle orecchie dei Romani, e la loro attendibilità venne incrementata dalle deposizioni dei prigionieri, che, e ciò ebbe un peso determinante, collimavano tutte tra di loro. Non c'era dubbio che i Romani erano chiamati a portare aiuto agli abitanti di Luceria, alleati valorosi e fedeli, anche per evitare che l'Apulia defezionasse in blocco di fronte alla minaccia incombente dei Sanniti

Si discusse soltanto sul percorso da compiere. Le strade che portavano a Luceria erano due: una lungo la costa adriatica, aperta e sgombra, ma tanto più lunga quanto più sicura, l'altra attraverso le Forche Caudine, più rapida. Si tratta però di un luogo con questo tipo di conformazione: due gole profonde, strette e coperte di boschi, collegate da una catena ininterrotta di montagne. In mezzo a queste montagne si apre una pianura abbastanza ampia, ricca di acque e di pascoli, e tagliata da una strada. 

Ora, per accedervi è necessario attraversare la prima gola, mentre per uscire si deve o tornare sui propri passi per la strada fatta all'andata, oppure - qualora si voglia procedere - attraversare una gola ancora più stretta e impervia della prima. L'esercito romano, dopo aver raggiunto quella pianura attraverso uno dei passaggi incassati nella roccia, stava marciando verso la seconda gola, quando la trovò ostruita da una barriera di tronchi abbattuti e di grossi massi. 

Era chiaro che si trattava di un agguato nemico: infatti avvistarono sulla cima della gola un manipolo di armati. Cercarono quindi, senza perdere un attimo, di ritornare indietro per il passaggio attraverso il quale erano arrivati, ma trovarono sbarrato anche questo da ostacoli naturali e da uomini armati. 

Allora, senza che nessuno lo avesse loro ordinato, si bloccarono, attoniti, le membra incapaci di muoversi. E guardandosi in faccia l'un l'altro, ciascuno nella speranza che il compagno avesse maggiore lucidità e potesse prendere una qualche decisione, rimasero a lungo in silenzio. 

Poi, quando videro che si stavano piantando le tende dei consoli, e che qualcuno cominciava a preparare il materiale per allestire l'accampamento, pur rendendosi conto che costruire fortificazioni in una situazione pressoché irreparabile e disperata avrebbe suscitato il riso del nemico, ciò non ostante, per non aggiungere la propria responsabilità alla disgrazia, tutti - senza che nessuno li esortasse a farlo o lo ordinasse loro - si misero di propria iniziativa a costruire dei dispositivi di difesa, scavando una trincea intorno al campo nei pressi dell'acqua di un ruscello: 

e ironizzavano amaramente, quasi non bastassero le insolenti frecciate dei nemici, sull'inutilità delle opere allestite e della fatica sostenuta. 

Attorno ai consoli tristi, che non convocavano nemmeno il consiglio di guerra (visto che non c'era consiglio o aiuto che potessero valere), si vennero a raccogliere di loro spontanea volontà i luogotenenti e i tribuni, mentre i soldati, girandosi verso il pretorio, chiedevano agli ufficiali quel sostegno che a malapena gli dei avrebbero potuto offrire. La notte li sorprese mentre più che consultarsi si stavano lamentando del proprio destino, e ognuno di essi reagiva secondo il proprio carattere. 

Uno diceva: "Avanziamo attraverso le barriere lungo la strada, su per le pendici dei monti, attraverso i boschi, dovunque potremo portare le armi: così che almeno si riesca ad arrivare fino al nemico, sul quale da quasi trent'anni abbiamo la meglio. Tutto sarà facile e agevole per dei soldati romani che combattono contro perfidi Sanniti". 

Un altro ribatteva: "Dove e per dove dovremmo andare? Non vogliamo per caso spostare i monti dalle loro sedi naturali? Finche' avremo queste cime sopra la testa, per quale via si potrà raggiungere il nemico? Armati o inermi, coraggiosi o vigliacchi, siamo tutti ugualmente prigionieri e vinti; il nemico non ci offrirà nemmeno una spada perché possiamo morire in maniera gloriosa: vincerò la guerra senza muovere un dito"

La notte trascorse tra battute di questo genere: nessuno pensò a riposare o a mangiare. Ma nemmeno i Sanniti, pur trovandosi in una congiuntura tanto favorevole, sapevano che cosa convenisse fare. E per questo decisero all'unanimità di inviare un messaggio a Erennio Ponzio, padre del comandante in capo, per averne un consiglio. 

Quest'ultimo, avanti negli anni com'era, si era già ritirato non solo dall'attività militare, ma anche dalla vita politica. Ciò nonostante, nel suo corpo malato era ancora vivo il vigore dell'animo e dell'intelletto.

  Quando venne a sapere che gli eserciti romani erano stati schiacciati alle Forche Caudine tra due gole, essendogli stato chiesto un consiglio dal messaggero inviato dal figlio, propose di lasciarli andare al più presto tutti senza colpirli. Ma siccome questo consiglio non venne messo in pratica, inviato una seconda volta lo stesso messaggero col compito di consultarlo, egli propose di ucciderli tutti dal primo all'ultimo. 

Le risposte contrastavano tanto da sembrare il responso di un oracolo ambiguo: e il figlio - pur pensando che ormai anche la mente del padre avesse perso lucidità nel corpo malato -, ciò nonostante si lasciò convincere dalle insistenze di tutto l'esercito a convocare il genitore di persona nell'assemblea.

Stando a quanto si racconta, il vecchio non avrebbe fatto difficoltà a lasciarsi portare su un carro all'accampamento, e una volta introdotto nell'assemblea si sarebbe espresso all'incirca in questi termini, senza modificare in nulla il proprio parere, ma limitandosi a chiarirne i motivi: scegliendo la prima strada, che lui riteneva la più valida, ci si sarebbe assicurata una pace duratura e l'amicizia con un popolo potentissimo; optando invece per la seconda, si sarebbe evitata la guerra per molti anni, perché dopo la perdita di quei due eserciti per i Romani non sarebbe stato facile raggiungere di nuovo la potenza di un tempo; una terza via non esisteva. 

Ma siccome il figlio e gli altri alti ufficiali insistevano a chiedere che cosa pensasse di una soluzione di compromesso - permettere cioè ai Romani di andarsene sani e salvi, ma imporre loro, in quanto vinti, il diritto di guerra -, l'uomo rispose:

"Questa soluzione è tale che non vi acquisterà degli amici né vi libererà dai nemici. Salvate pure la vita a uomini che avete esasperato con un trattamento umiliante: la caratteristica del popolo romano é quella di non sapersi rassegnare alla condizione di vinto. Nei loro cuori sarà sempre vivo il marchio di infamia del caso presente e questo non darà loro pace fino a quando non vi avranno ripagato con pene molte volte più dure".

Una volta respinte entrambe le sue proposte, Erennio venne ricondotto dall'accampamento in patria.

Bibliografia (ArsBellica.it):

"Ab Urbe Condita", Tito Livio, Libro IX

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