sabato 2 dicembre 2023

Cominium Ocritum e le Forche Caudine. Una storia eretica | CULTURA

Cominium Ocritum e le Forche Caudine. Una storia eretica

Nello scorso mese di maggio - si legge su ViviTelese - è stato pubblicato per conto dell’Istituto Storico Sannio Telesino, per i tipi di Fiori di Zucca, con il patrocinio della Erbagil srl, il libro di Lorenzo Morone: “Cominium Ocritum e le Forche Caudine. Una storia eretica”.

Nella premessa al testo, Emilio Bove, Presidente dell’Istituto Storico Sannio Telesino, scrive: “Il lavoro di Morone -a differenza di tanti altri studi- non ha la pretesa di fornire risposte definitive ai tanti interrogativi che la storia millenaria del Sannio pone, ma ha la nobile ambizione di suscitare dei dubbi, di alimentare la curiosità, di accrescere la passione: tutti elementi indispensabili per chi è alla ricerca della verità. Per anni ci siamo accontentati della versione ufficiale, quella entrata nella memoria collettiva è divenuta consuetudine, senza farci domande, rifiutando interrogativi che ritenevamo superflui. 

Ed abbiamo sempre considerato secondari i luoghi della battaglia, rispetto all’enormità dell’evento che, al contrario, ebbe già all’epoca un’eco travolgente. Né vanno dimenticate le pietre “saggiamente disposte” sul Matese, un incredibile giacimento demoetnoantropologico definito, dal MiBACT, “di eccezionale valore demoetnoantropologico”. Partendo da queste considerazioni incontro l’architetto Morone nella splendida piazza San Martino di Cerreto Sannita. Ed entriamo subito in argomento.

D- Prof. Morone mi racconti come è nato il tuo libro e perché lo definisci una “una storia eretica”?

R- Quella che io racconto, travestendomi da scrittore, è una storia intrigante, che mi ha appassionato fin dai banchi del Liceo Classico Luigi Sodo in Cerreto Sannita. Galeotti furono due brani da tradurre: uno, tratto da “Ab Urbe Condita” di Tito Livio, l’altro dalle “Historie” del greco Polibio. Entrambi raccontano di vicende che si sono sviluppate nei nostri territori. Troppe incongruenze e suggestioni tra quanto leggevo nei testi originali relativamente alla seconda guerra Sannitica e quanto accettato, dai più, come verità unica ed indiscutibile perché proveniente da un indubbiamente grande storico: Mommsen. Il mio racconto tiene insieme gli antichi testi, l’osservazione sul campo di ritrovamenti archeologici, la morfologia del terreno, la tecnica militare, la consapevolezza che la ricerca storica è un continuo divenire. Giungo ad una conclusione che ho voluto chiamare “eretica” perché dissimile dalla “dottrina ufficiale” impersonata dal pur grande storico tedesco, premio Nobel nel 1902.

Teodoro Mommsen

D- Il tempo di una vita. Perché solo oggi la pubblicazione?

Da giovani il pensiero è rivolto altrove; col tempo, poi, gli interessi lentamente cambiano e passi dall’obbligo di studiare al piacere della ricerca, della scoperta. Quando poi si arriva ad una certa età, con l’esperienza accumulata, ti puoi permettere di essere superiore a tutto; soprattutto superiore a chi eretico non è e considera la storia una ed immutabile… soprattutto se è stata raccontata da uno dal nome altisonante. Ma ho avuto la fortuna di ascoltare anche io un nome altisonante come quello di Marco Buonocore, Direttore della Biblioteca Apostolica Vaticana, curatore dei due volumi delle Lettere di Teodoro Mommsen agli italiani. Buonocore, a San Salvatore Telesino, nella Abazia, in occasione di una celebrazione proprio di Mommsen, affermò: “…c’è da aspettarsi che ciò che ha detto Mommsen venga scardinato e rivoluzionato perché attraverso l’esperienza del presente mutano le prospettive con cui si legge il passato, vengono fuori testimonianze dimenticate che lo rivelano diverso da come credevamo”. 

D- Partecipai anche io a quel convegno estremamente interessante del 2 dicembre 2017. E quindi in quella occasione scoccò la scintilla?

R - Proprio così. Le parole di Buonocore per me furono indubbiamente una spinta a mettere in ordine le cose che fino ad allora avevo visto sui monti dove non mi recavo più a cercar funghi ma solo a osservare pietre.  

D- Quelle parole ti liberarono dalla comprensibile soggezione rispetto al grande storico.

R -Sì. Le mie ricerche partivano da una affermazione categorica di Tito Livio: “le vie per raggiungere Lucera da Caiatia, dove erano accampati i Romani, sono due: una è quella che  va verso la costa del mare Superum, il mare Adriatico, facile ma lunga, l’altra, più breve, ma più difficoltosa, attraverso le “Furculas Caudinas”. Due certezze “indiscutibili” stravolte con autoreferenzialità eccessiva proprio da Mommsen che ignora completamente quella che taglia “per Furculas Caudinas” e indica, come unica via percorribile, proprio “ la via del mare” quella che va verso l’Adriatico passando per Forchia: la via Appia che, tra l’altro, sarà costruita solo dopo le Guerre Sannitiche. Forse, e senza forse, il percorso lungo era quello che seguiva il Volturno e poi il Calore fino a Benevento: la futura Via Latina!

D - E così ha preso forma questo libro che ha avuto il patrocinio di diverse organizzazioni culturali e ambientali nazionali come Italia Nostra e locali come Fondazione Terre Magiche Sannite e le associazioni cerretesi Biblioteca del Sannio e l’Associazione Socio Culturale?

R- Il mio non è il classico libro di storia, perché non sono affatto uno storico, ma una ricerca attenta piena di indizi e di “curiosità”, anche di dubbi, un saggio che viene proposto alla attenzione generale con la speranza che possa dar luogo non solo ad un dibattito ma ad un approfondimento delle ricerche sul campo. Le uniche certezze che ho raccolto sono relative alle impressionanti tracce archeologiche che conservano i monti del Matese: da Sepino a Cerreto Sannita, da Pietraroia a Morcone. Tracce che vanno dal neolitico ai giorni nostri. Sul Matese c’è ciò che altrove “c’era una volta”!  Ed è impressionante la serie di coincidenze con quanto descritto da Tito Livio e da Polibio. Quest’ultimo a  differenza del primo fu contemporaneo di Annibale e ne descrisse il percorso dalla Daunia a Capua “nelle gole scavate dal Titerno, lungo il Monterbano. Lo stesso percorso che, in direzione opposta, furono indotti a fare i Romani.

D - Perché I Romani dovevano andare nella Daunia e perché volevano passare per i monti?

R - Dovevano raggiungere in fretta Lucera, loro alleata, che era sotto assedio da parte dei Sanniti. Scelsero di seguire il tracciato dei monti, perché più breve di venti giorni (H. Nissen); Furono indotti a ciò dall’astuto Gaio Ponzio Telesino, capo sannita, che li attirò nella trappola infernale delle “furculas” del Titerno: “Is ubi accipit ad furculas caudinas”, (li abbiamo intrappolati là dove si accede alle Forche Caudine), come scrive Tito Livio riportando il colloquio di Gaio Ponzio con il padre Erennio al quale si rivolgeva per chiedere consigli. Furculas Caudine era un toponimo geografico assolutamente slegato dall’episodio dell’umiliazione dei Romani ad opera dei Sanniti che veniva definito “subjugatio”.

D- Lorenzo ho bisogno di qualche maggiore dettaglio. Mi puoi dire?

R- Certamente. “Furcula” era per i Romani il toponimo col quale indicavano un canyon, una gola a forma di V, come la “furcula”, un osso comune ai volatili; e di toponimi simili ne troviamo tanti in giro per l’Italia: Forca d’Acero, Passo della Forcella, Forcella Staulanza, Forca Caruso, Passo delle Forche, etc. Furculas stava ad indicare la conformazione del terreno e Caudinae il luogo geografico. All’epoca il territorio Caudino era molto più ampio di ciò che noi oggi consideriamo Caudino. Esso si estendeva in tutta l’attuale Valle Telesina e del Titerno. Una prima strettoia (“ta stena”, la chiamò Polibio), la troviamo dopo l’attuale Marafi, contrada di Faicchio, divisa dalla Pianura Campana-Caudina dal Calore e dal Volturno. Ancora oggi questa zona si chiama “Caudan”, un nome che si avvicina molto a Caudino. Poi si trova un  campo largo e successivamente altre gole più selvagge, quelle sotto il Monte Cigno, tra il Ponte di Annibale e quello del Mulino.

D - Vediamo meglio dal punto di vista militare. I Romani dove erano accampati e dove dovevano andare?

R- I Romani erano accampati a Caiatia (sito differente da Calatia), logicamente vicino ad un fiume: il Volturno; dovevano arrivare al più presto in soccorso di Lucera, loro alleata ed in procinto di cadere nelle mani dei Sanniti che la cingevano di assedio. I Romani pensarono fossero vere le notizie diffuse ad arte da Gaio Ponzio sul fatto che i Sanniti stavano tutti a Lucera a combattere e non presidiavano più i loro monti (fake news)! Pertanto scelsero di percorrere la “via brevior”, il percorso alternativo indicato da Livio ma ignorato da Mommsen, e caddero nella trappola. Qui Mommsen ne fa un’altra: per giustificare la via più breve, sposta l’accampamento dei Romani da Caiatia, presso le acque “vitali” del fiume Volturno, a Calatia, la vecchia Maddaloni, distante da un qualsiasi corso d’acqua. 

D- Ma quindi tu metti completamente in discussione le affermazioni di Mommsen?

R - A dubitare di Mommsen non sono solo io. Il comasco Giuseppe Brambilla, nella sua Critica su La Storia Romana di Mommsen, del 1869, scrive: «…il Mommsen assaissime volte si accorge mancar la forza delle prove alle sue sentenze, e vi supplisce con le retoriche menzogne…»

D - Sulla tua ricerca noto in giro perplessità perché tieni conto troppo dello scritto di Tito Livio, considerato un propagandista di Roma, e poco della logica militare. È così?

R - Degli aspetti militari faccio solo una considerazione: se vuoi battere un avversario forte ed organizzato, lo devi costringere a battersi sul terreno a loro sfavorevole. E’ quello che ha fatto il “DavideVietnam contro il “Golia USA. Attirarli nella giungla. Per il resto trovo singolare che quando si individua un luogo che rappresenterebbe il sito della battaglia forse più famosa della storia (per i Sanniti ovviamente), tutti accettano acriticamente una collocazione in aperto contrasto con quanto scrive Livio e basata solo ed esclusivamente su una opinione personale partorita grazie ad una assenza di notizie sul percorso del Titerno, nonché sull’impossibilità di usare i nuovi supporti informatici, quando invece si trovano mille indizi e altrettanti riferimenti storici, si azzera tutto con un’altra esternazione perentoria: Tito Livio non scrive il vero! Eppure la descrizione del territorio matesino combacia perfettamente con la narrazione di Tito Livio, che sembra essere una moderna guida del Touring Club

D - Veniamo agli altri criteri che hai seguito per formulare la tua tesi?

R - Più che una tesi, la mia è stata una caccia agli indizi guidata da una certa logica che poi ha portato ad altre scoperte. Mi sono chiesto quale potesse essere la strada BREVIOR più antica della Via Appia e della Via Latina, ed ho trovato lo scritto di Pietro Napoli- Signorelli 1811 che scrive: «…prima però di questa via (Appia) nel 321 a.C., in cui avvenne lo scontro tra Romani e Sanniti nelle Forche Caudine, esisteva la Via che è dalla Caiatia Campana per Furculas Caudinas, menava a Luceria, ed era, a dir di Livio, assai breve, e questa non apparteneva né alla Latina, né all’Appia formate da poi». 

D - Cominium Ocritum e le Forche Caudine. Una storia eretica. Ma se c’era una strada Caiatia -Luceria ci dovrebbero essere tracce notevoli di antropizzazione e di fortificazioni?

R - Ne ho trovate tante e le  ho descritte a iosa nella mia ricerca. E pure queste combaciano con quanto narrato da Livio: «Avanziamo attraverso le barriere lungo la strada, su per le pendici dei monti, attraverso i boschi, per arrivare al nemico...Un altro ribatteva: vogliamo spostare i monti dalla loro sede naturale» Livio IX-3.

D - Quali altre tracce abbiamo sui luoghi dove si è sviluppata la tua ricerca”?

R - Basta aprire il libro IX-2 di Tito Livio e recarsi all’imbocco delle gole del Titerno a Faicchio. Seguendo il Titerno, con in mano la descrizione del patavino, in latino, dopo aver attraversato una prima gola ed attraversato un “campo erboso e ricco di acqua”, si prosegue fino a trovare, addirittura, la strada scavata nella roccia, “per cavam rupem”, bloccata da massi caduti dall’alto, proprio  sotto la Rocca di Monte Cigno.

D - Vi sono altre tracce?

R - A parte le fortificazioni tipicamente sannite che si incontrano lungo il percorso, a partire da Mont’Acero e, soprattutto, Monte Cigno con la sua Okre, e che giustificano il timore dei Romani tranquillizzati dai finti pastori: andate tranquilli, i Sanniti hanno abbandonato in massa il loro territorio per correre a Luceria”, ci sono tante curiosità “stimolanti” in quel magico quadrilatero che va da Sepino a Cerreto, da Pietraroia a Morcone, dalla piramide di Pietraroia con coppelle fatte per contenere grasso animale da usare come combustibile per fiammelle, al monolite-ziqqurat-osservatorio astronomico di Caia Borsa, con il sole che lo percorre al suo sorgere nel solstizio d’inverno lungo un canale scavato a mano che lo attraversa, dai dolmen ai menhir ai gruppi di capanne recintati, per finire a quei gioielli autentici che sono le necropoli con gruppi di tumuli con menhir centrale, di sapore neolitico, al cosiddetto “ponte del Mulino”, realizzato come una sorta di arco ribassato con conci che arrivano a pesare 14 quintali. Un ponte che della tecnica romana ha ben poco. Che sia un documento più unico che raro di ponte fatto dai sanniti?

D - Renzo, mi dai una considerazione finale?

R - Ho cercato, in questo saggio, di trasmettere le emozioni di un territorio che, da quando lo stavo indagando, non cessava mai di raccontare nuove storie. Un unicum, quello che c’era e c’è sui nostri monti, che aspettava solo di essere raccontato e regalato a tutti; da Saepinum a Telesia, da Pietraroia a Morcone, la nostra storia “Comune” è scritta con le pietre in un linguaggio facilmente decodificabile. Una sorta di viaggio, dunque, fra indizi storici, topografia e paleocostruzioni. Trattasi di antropizzazione, dal Neolitico ai giorni nostri, definita di “enorme interesse” sia dal Ministero per i Beni Culturali, sia dall’Associazione Nazionale Italia Nostra.” Per quanto riguarda la localizzazione delle “Furculae”, plurale, quindi le gole erano sicuramente più di una! Non ho certezze, ma solo indizi. Certo non può bastare solo una vaga somiglianza di un sito per gridare “eureka!”, ho trovato il luogo. Io, lungo le gole del Titerno, a partire dalla piana di Marafi a Faicchio, dove si apre la prima gola, ho trovato indizi a iosa. Altrove? Non lo so. Posso solo ripetere ciò che sosteneva Agata Christie: Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi sono una prova.   

Scritto da Carmine Ricciardi

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore, che non corrispondono necessariamente a quelle de "Lo Schiaffo 321".

 Immagini tratte dalla rete. Fonte: vivitelese.it P.S. il saggio “Cominium Ocritun e le Forche Caudine. Una storia eretica, è in vendita nelle cartolibrerie di Cerreto, Controvento a Telese e presso Fioridizucca a San Salvatore, nonché su Amazon.



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