sabato 26 novembre 2022

FAVOLE ITANGLOMANI - 20 baggianate itanglesi demistificate una ad una (12/20) | CULTURA

I sostenitori dell’itanglese tendono spesso a contraddirsi. Non è inusuale che nella stessa frase neghino il fenomeno, o lo minimizzino, per poi però anche dire che è un’ottima cosa, bella, moderna, inevitabile, e «comune a tutte le altre lingue». Analizziamo una a una le gemme più tipiche alla fiera dell’anglomania.

12. Il termine inglese è più preciso e/o ha uno spettro semantico più ampio

RISPOSTA: Anche questo non è vero.

La verità è che la tendenza degli anglomani itanglesi è proprio quella di nascondersi dietro a termini realmente vaghi perché spesso usati male, in maniera incompleta e fuori contesto (si pensi al tenerissimo Question Time, che da una ventina d’anni a questa parte ha completamente sostituito «interrogazioni parlamentari»). Un qualsiasi italiano che non abbia una competenza eccezionale in inglese, troverà inevitabilmente un neologismo anglo come qualcosa dai confini semantici molto elastici. Che è esattamente quello che accade, ragione per la quale gli italiani spesso conferiscono significati surreali a parole inglesi, distruggendo due lingue al prezzo di una, ma eccitandosi da sudare le mani. Di esempi ne esistono a decine e sono sintomi di ignoranza e provincialismo puri.

Uno è caregiver (già citato poco fa sul tema della sua improvvisa mutazione comica in cargiver). Secondo molti anglomani, caregiver sarebbe molto più appropriato di «badante» perché più preciso e dunque necessario a spiegarne il concetto ai fini legislativi e contributivi. Lo è nella testa degli italiani, perché anche in inglese – se non specifichi con un aggettivo se si tratta di family or professional – la parola in questione da sola non specifica proprio nulla. Lo stesso in spagnolo, dove cuidador è accompagnato da profesional o familiar. Il recentissimo waning, circa i vaccini, non aggiunge neanche un millimetro in più dell’equivalente italiano, affievolimento. È usato esclusivamente, per citare l’attore Giorgio Comaschi, «per fare gli sboroni».

«Smart working» poi è delirante. L’anglomane medio si intruglia in disquisizioni secondo le quali, se dici “lavoro da casa”, e magari non è da “casa”, la cosa è imprecisa e non sia mai. “Smart working” invece significherebbe “in/da remoto”, “a distanza”, senza specificare se da casa, dal sottoscala o dal parco, per cui è bellissimo. La domanda che sorge spontanea è dunque: perché allora non dite “lavoro in/da remoto” o “a distanza”? La risposta non te la danno, perché sanno, dentro, che è un comportamento da provincialotto con pretese internescional, che pur di fare il figo, preferisce inventarsi di sana pianta un termine pseudoinglese ridicolo piuttosto che parlare in italiano. 

In Italia si è arrivati a questo livello. Per chi ancora non lo sapesse, “smart working” non esiste in inglese, è un’invenzione totale, è itanglese puro, per cui siamo ancora una volta nell’ambito psicologico piuttosto che linguistico. In ogni caso, si noti che questa devozione per la presunta «precisione semantica» è inversamente proporzionale alla dovuta cura verso la chiarezza di comunicazione, giacché milioni di italiani – e non italiani – non capiscono o sono proni a fraintendere lo pseudoinglese.

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore, che non corrispondono necessariamente a quelle de "Lo Schiaffo 321". Immagini tratte dalla rete.

Fonte: https://campagnapersalvarelitaliano.com/favole-itanglomani/

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