lunedì 14 novembre 2022

René Guénon - La crisi del mondo moderno | Cap. 5 parte I - L’individualismo


La crisi del mondo moderno
Cap. 5 - L’individualismo

Ciò che noi intendiamo per «individualismo» è la negazione di ogni principio superiore all’individualità, e, di conseguenza, la riduzione della civiltà, in tutti i domini, ai soli elementi puramente umani; in fondo, si tratta dunque della stessa cosa che, al tempo del Rinascimento, venne designata col nome di «umanesimo», come abbiamo detto in precedenza, e anche di ciò che caratterizza propriamente quello che noi continuiamo a chiamare il «punto di vista profano».

Si tratta, insomma, di una sola e medesima cosa designata con dei nomi diversi, ed abbiamo detto anche che questo spirito «profano» si confonde con lo spirito antitradizionale, nel quale si riassumono tutte le tendenze specificamente moderne.

Indubbiamente, tale spirito non è completamente nuovo: già in altre epoche vi sono state delle manifestazioni più o meno accentuate di esso, ma sempre limitate e viste come aberranti, e mai che si siano estese a tutto l’insieme di una civiltà come è accaduto in Occidente nel corso di questi ultimi secoli. Ciò che non s’era mai visto fino ad oggi, è una civiltà edificata interamente su qualcosa di puramente negativo, su ciò che si potrebbe chiamare un’assenza di principio; ed è esattamente questo che conferisce al mondo moderno il suo carattere anormale, ciò che ne fa una sorta di mostruosità, spiegabile solamente se la si considera come corrispondente alla fine di un periodo ciclico, secondo quanto abbiamo detto all’inizio. 

Dunque, è proprio l’individualismo, come lo abbiamo appena descritto, la causa determinante dell’attuale decadenza dell’Occidente, per il fatto stesso che è, in qualche modo, l’agente che muove lo sviluppo esclusivo delle possibilità più infime dell’umanità, quelle la cui espansione non richiede l’intervento di alcun elemento sopra-umano e che possono svilupparsi completamente solo in assenza di un tale elemento, poiché si trovano all’estremo opposto di ogni spiritualità e di ogni vera intellettualità.

L’individualismo implica, innanzi tutto, la negazione dell’intuizione intellettuale, in quanto questa è essenzialmente una facoltà sopra-individuale, e la negazione dell’ordine di conoscenza che è il dominio proprio di questa intuizione, e cioè della metafisica intesa nel suo vero significato. È questo il motivo per cui tutto ciò che i filosofi moderni designano col nome di metafisica, quando ammettono che vi sia qualcosa da chiamare con questo nome, non ha assolutamente niente in comune con la metafisica vera: si tratta invece di costruzioni razionali o di ipotesi immaginarie, dunque di concezioni tutte individuali, la maggior parte delle quali peraltro si riferisce semplicemente al dominio «fisico», cioè a dire alla natura.

Perfino quando si incontra qualche questione che potrebbe essere collegata effettivamente all’ordine metafisico, il modo con cui essa viene considerata e trattata la riduce sempre a della «pseudo-metafisica» e, del resto, ne rende impossibile ogni reale e valida soluzione; sembra anche che, per i filosofi, la maggiore preoccupazione sia porre dei «problemi» , foss’anche artificiali ed illusori, piuttosto che risolverli, il che costituisce uno degli aspetti del bisogno disordinato della ricerca per la ricerca, vale a dire dell’agitazione più vana nell’ordine mentale, esattamente come nell’ordine corporeo. 

Per costoro, si tratta anche di legare il loro nome ad un «sistema», e cioè ad un insieme di teorie strettamente limitate e circoscritte, che stia bene a loro stessi e che non sia altro che opera loro; da qui il desiderio di essere originali ad ogni costo, anche a costo di sacrificarvi la verità; per la reputazione di un filosofo è meglio inventare un nuovo errore che ripetere una verità già espressa da altri. Peraltro, questa forma di individualismo, a cui si devono tanti «sistemi» contraddittori, quando addirittura non lo sono in se stessi, si riscontra anche presso gli scienziati e gli artisti moderni; ma forse è nei filosofi che si può distinguere più chiaramente l’anarchia intellettuale che ne è l’inevitabile conseguenza.

In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di un’idea, e, in ogni caso, se lo facesse, per ciò stesso la priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché la ridurrebbe a nient’altro che ad una sorta di fantasia senza alcuna portata reale: se un’idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla, se invece è falsa non è certo il caso di gloriarsi per averla inventata. 

Un’idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi e a noi spetta solo conoscerla; al di fuori di una tale conoscenza non v’è che l’errore; ma, in fondo, davvero i moderni si preoccupano della verità e sanno ancora cos’è? 

Anche qui, le parole hanno perduto il loro significato, poiché certuni, come i «pragmatisti» contemporanei, giungono al punto di dare abusivamente il nome di «verità» a ciò che è molto semplicemente l’utilità pratica, vale a dire a qualcosa che è completamente estranea all’ordine intellettuale; si tratta del logico risultato della deviazione moderna: della negazione stessa della verità e perfino dell’intelligenza, di cui essa è l’oggetto proprio. Ma non anticipiamo altro, e su questo punto ci limiteremo a far notare ancora che il genere di individualismo in questione è la fonte dell’illusione relativa al ruolo dei «grandi uomini» o cosiddetti tali; il «genio», inteso nel senso «profano», è ben poca cosa in realtà ed egli non potrebbe supplire in alcun modo alla mancanza della vera conoscenza.

Dal momento che abbiamo parlato di filosofia, segnaliamo ancora, senza addentrarci nei particolari, alcune conseguenze dell’individualismo in tale dominio: a causa della negazione dell’intuizione intellettuale, la prima di tutte consistette nel porre la ragione al di sopra di tutto, nel fare di questa facoltà, puramente umana e relativa, la parte superiore dell’intelligenza, o addirittura nel ridurvi interamente quest’ultima; è in questo che consiste il «razionalismo», il cui vero fondatore fu Cartesio. D’altronde, questa limitazione dell’intelligenza non fu che una prima tappa; la stessa ragione non doveva tardare ad essere abbassata sempre più ad un ruolo soprattutto pratico, via via che le applicazioni prendevano la mano alle scienze che ancora potevano avere un certo carattere speculativo; e già lo stesso Cartesio, in fondo, era molto più preoccupato di queste applicazioni pratiche che della scienza pura. 

Ma non è tutto: l’individualismo porta inevitabilmente con sé il «naturalismo», poiché tutto ciò che è al di là della natura è, per ciò stesso, fuori dalla portata dell’individuo come tale; dunque, «naturalismo» o negazione della metafisica non sono altro che una sola e medesima cosa, e una volta disconosciuta l’intuizione intellettuale non v’è più alcuna possibile metafisica; ma, mentre alcuni si ostinavano tuttavia a costruire una qualunque «pseudo-metafisica», altri riconoscevano più francamente questa impossibilità: ed ecco allora il «relativismo» in tutte le sue forme, si tratti del «criticismo» di Kant o del «positivismo» di Comte; d’altronde, dal momento che la ragione è essa stessa interamente relativa e può applicarsi validamente solo ad un dominio parimenti relativo, è esatto dire che il «relativismo» è il solo risultato logico del «razionalismo». 
Del resto, quest’ultimo doveva giungere, per questo stesso motivo, fino alla distruzione di se stesso: «natura» e «divenire», come abbiamo detto precedentemente, in realtà sono sinonimi; dunque, un «naturalismo» coerente con se stesso non può essere che una di quelle «filosofie del divenire» di cui abbiamo già parlato ed il cui tipo specificamente moderno è l’«evoluzionismo»; ed è proprio questo che doveva infine rivoltarsi contro il «razionalismo», rimproverando alla ragione di non potersi applicare adeguatamente a ciò che è solo cambiamento e pura molteplicità, e di non poter contenere nei suoi concetti l’indefinita complessità delle cose sensibili. Tale fu infatti la posizione assunta da quella forma dell’«evoluzionismo» che è l’«intuizionismo» bergsoniano, il quale, ben inteso, non è meno individualista ed antimetafisico del «razionalismo» e, pur criticando giustamente quest’ultimo, cade ancora più in basso facendo appello ad una facoltà propriamente infra-razionale, ad una intuizione sensibile assai mal definita peraltro e più o meno confusa con l’immaginazione, l’istinto ed il sentimento. 

La cosa più significativa è che in questo caso non è neanche più questione di «verità», ma solo di realtà, ridotta esclusivamente al solo ordine sensibile e concepita come qualcosa di essenzialmente mobile ed instabile; e con siffatte teorie l’intelligenza è veramente ridotta alla sua parte più bassa, mentre la stessa ragione viene ammessa solo in quanto si applica a plasmare la materia per degli usi industriali. 

Dopo di che restava da fare un solo passo: negare totalmente l’intelligenza e la conoscenza e sostituire l’«utilità» alla «verità» ; ed ecco allora il «pragmatismo», al quale abbiamo accennato prima: con esso non siamo neanche più nell’umano puro e semplice, come col «razionalismo», ma siamo veramente nell’infra-umano, con quell’appello al «subcosciente» che segna l’inversione totale di ogni normale gerarchia. Ecco, per grandi linee, la strada che doveva seguire, e che ha effettivamente seguito, la filosofia «profana» in balia di se stessa, quella filosofia che ha preteso limitare ogni conoscenza entro i limiti del proprio orizzonte; fintanto che esisteva una conoscenza superiore non era possibile che accadesse nulla di simile, poiché la filosofia era tenuta almeno a rispettare ciò che ignorava e che non poteva negare; ma quando questa conoscenza superiore spari, la sua negazione, corrispondente ad uno stato di fatto, venne ben presto elevata a teoria, ed è da lì che ha preso le mosse tutta la filosofia moderna.

Scritto da René Guénon

La crisi del mondo moderno

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