giovedì 18 marzo 2021

René Guénon - AUTORITÀ SPIRITUALE E POTERE TEMPORALE (1929) | cap. II


FUNZIONI DEL SACERDOZIO E DELLA REGALITÀ_2

L’opposizione dei due poteri spirituale e temporale, in una forma piuttosto che un’altra, si incontra pressappoco in tutti i popoli, il che non ha nulla di sorprendente giacché corrisponde a una legge generale della storia umana, la quale del resto si ricollega all’insieme delle «leggi cicliche», a cui in quasi tutte le nostre opere abbiamo fatto frequenti allusioni. Nei periodi più antichi, tale opposizione di solito si trova espressa, nei dati tradizionali, sotto forma simbolica, come abbiamo già indicato sopra a proposito dei Celti; ma non è questo l’aspetto della questione che ci proponiamo qui di sviluppare. 


Per il momento ricorderemo in particolare due esempi storici, tratti l’uno dall’Oriente e l’altro dall’Occidente: in India, l’antagonismo di cui trattiamo si incontra sotto forma di rivalità tra Brahmani e Kshatriya, rivalità di cui ripercorreremo alcuni episodi; nell’Europa medioevale, esso si presenta soprattutto come ciò che è stato chiamato «la controversia tra il Sacerdozio e l’impero» […]. (p. 31)

Non si è mai contestato, almeno in genere e tranne in casi estremi, che i due poteri, che possiamo chiamare potere sacerdotale e potere regale, essendo queste le loro vere denominazioni tradizionali, abbiano entrambi la loro ragion d’essere e il loro proprio ambito. In definitiva, il dibattito non verte di solito che sulla questione dei rapporti gerarchici che devono esistere fra loro; 

è una lotta per la supremazia, e tale lotta si verifica invariabilmente nello stesso modo: vediamo i guerrieri, detentori del potere temporale, dopo essere stati inizialmente sottomessi all’autorità spirituale, rivoltarsi contro di essa, dichiararsi indipendenti da ogni potere superiore o addirittura cercare di sottomettere a sé quell’autorità nella quale avevano riconosciuto, in origine, la fonte del proprio potere, e di farne uno strumento al servizio del proprio dominio. (p.32)


Per sottolineare meglio la distinzione preferiamo usare per l’ordine spirituale per lo più il termine «autorità» invece di «potere», che sarà allora riservato all’ordine temporale, al quale meglio si addice qualora lo si voglia intendere in senso stretto. 

Il termine «potere», infatti, evoca quasi inevitabilmente l’idea di potenza o di forza, e soprattutto di una forza materiale, di una potenza che si manifesta visibilmente all’esterno e si afferma con l’utilizzo di mezzi esteriori; e tale è, per definizione, il potere temporale. L’autorità spirituale invece, per essenza interiore, non si afferma che per se stessa, indipendentemente da ogni appoggio sensibile, e si esercita in certo modo invisibilmente […]. (p. 34)

Per cominciare da quest’ultima, diremo che la funzione regale comprende tutto ciò che nell’ordine sociale costituisce il «governo» propriamente detto, anche quando tale governo non abbia forma monarchica; questa funzione, di fatto, è quella che appartiene in proprio a tutta la casta degli Kshatriya, e il re non è che il primo fra essi. Tale funzione è in certo modo duplice: amministrativa e giudiziaria da un lato, militare dall’altro, poiché deve garantire il mantenimento dell’ordine all’interno, come funzione regolatrice ed equilibratrice, e al tempo stesso all’esterno, come funzione protettrice dell’organizzazione sociale; i due elementi costitutivi del potere regale sono, nelle varie tradizioni, simboleggiati rispettivamente dalla bilancia e dalla spada. Da ciò si vede come «potere regale» sia realmente un sinonimo di «potere temporale», anche quando si prenda quest’ultimo in tutta l’estensione di cui è suscettibile […].

Quanto al sacerdozio, la sua funzione essenziale è la conservazione e la trasmissione della dottrina tradizionale, nella quale ogni organizzazione sociale regolare trova i suoi princìpi fondamentali[…]. (p. 35)


È facile capire come la funzione del sacerdozio non sia precisamente quella che le concezioni occidentali, soprattutto oggi, attribuiscono al «clero» o ai «preti», o per lo meno, se pure può essere tale in certa misura e in certi casi, come possa essere anche molto diversa. 

In effetti, a possedere propriamente il carattere di «sacro» è la dottrina tradizionale e quanto vi si riferisce direttamente, e questa dottrina non assume necessariamente la forma religiosa;

Quindi «sacro» e «religioso» non sono equivalenti e il primo dei due termini è molto più esteso del secondo; se la religione appartiene all’ambito del «sacro», questo comprende anche elementi e modalità che non hanno nulla di religioso; e il sacerdozio, come indica il nome, si riferisce, senza restrizione alcuna, a tutto quello che si può veramente dire «sacro».


La vera funzione del sacerdozio è quindi, innanzitutto, una funzione di conoscenza e di insegnamento, ed è per questo motivo che, come dicevamo sopra, il suo attributo specifico è la saggezza; naturalmente, vi appartengono anche altre funzioni più esteriori, come l’adempimento dei riti, poiché queste richiedono, almeno in linea di principio, la conoscenza della dottrina e partecipano del carattere «sacro» proprio di quest’ultima; ma non sono che funzioni secondarie, contingenti e in certo modo accidentali. (pp. 36-37)

Che le cose non siano sempre state così lo prova il termine stesso di «clero», giacché in origine «chierico» non significa che «dotto», e si contrappone a «laico», che designa l’uomo del popolo, cioè il «volgo», assimilato all’ignorante o al «profano», colui al quale si può soltanto chiedere di credere ciò che non è in grado di comprendere, perché questo è il solo mezzo di renderlo partecipe della tradizione nella misura delle sue possibilità. (pp.38-39)

Se il sacerdozio è, per essenza, il depositario della conoscenza tradizionale, ciò non significa che ne abbia il monopolio, dato che la sua missione non è soltanto di conservarla integralmente, ma anche di comunicarla a tutti coloro che sono atti a riceverla, distribuirla in certo in modo gerarchicamente secondo le capacità intellettuali di ciascuno. Ogni conoscenza di questo tipo ha quindi la propria fonte nell’insegnamento sacerdotale, che è l’organo della sua trasmissione regolare […]. (p. 40)

Nella conoscenza sacra o tradizionale, da questa distinzione di due ordini che si possono definire, in generale, quello dei princìpi e quello delle applicazioni, o anche, in base a quanto abbiamo appena detto, ordine «metafisico» e ordine «fisico», era derivata nei misteri antichi, in Occidente come in Oriente, la distinzione  tra quelli che erano chiamati i «grandi misteri» e i «piccoli misteri», dove i secondi comportavano di fatto essenzialmente la conoscenza della natura, mentre i primi la conoscenza di ciò che è al di là della natura. Tale distinzione corrispondeva precisamente a quella dell’«iniziazione sacerdotale» e dell’«iniziazione regale»[…]. (pp. 42-43)

Scritto da René Guénon

Stralci tratti da ADELPHI – Collana PICCOLA BIBLIOTECA ADELPHI n. 661 – 2014


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