venerdì 19 novembre 2021

René Guénon L'ESOTERISMO DI DANTE - I cicli cosmici (1925) | cap.8 3/3

VIII -  I cicli cosmici

Dobbiamo ancora considerare i due punti opposti, situati alle estremità dell’asse che attraversa la terra, e che sono, come abbiamo detto, Gerusalemme e il Paradiso terrestre. Si tratta, in certo qual modo, di proiezioni verticali dei due punti che segnano l’inizio e la fine del ciclo cronologico e che, come tali, nella raffigurazione precedente avevamo fatto corrispondere alle estremità del diametro orizzontale. 

Se queste estremità rappresentano la loro opposizione secondo il tempo, e se quelle del diametro verticale rappresentano la loro opposizione secondo lo spazio, si ha così un’espressione del ruolo complementare dei due principi la cui azione, nel nostro mondo, si traduce nell’esistenza delle due condizioni del tempo e dello spazio. La proiezione verticale potrebbe essere vista come una proiezione nell’«intemporale», se così possiamo esprimerci, poiché essa si compie secondo l’asse da cui tutte le cose sono considerate in modo permanente e non più transitorio; il passaggio dal diametro orizzontale al diametro verticale rappresenta dunque veramente una trasmutazione della successione in simultaneità.

Ma, si dirà, quale rapporto esiste fra i due punti in questione e le estremità del ciclo cronologico? Per uno di questi, il Paradiso terrestre, il rapporto è evidente, ed esso corrisponde all’inizio del ciclo; quanto all’altro, bisogna osservare che la Gerusalemme terrestre è vista come la prefigurazione della Gerusalemme celeste descritta nell’Apocalisse; d’altronde, Gerusalemme simbolicamente è anche il luogo in cui sono collocati la resurrezione e il giudizio che concludono il ciclo. La posizione dei due punti agli antipodi l’uno dell’altro assume inoltre un nuovo significato se si osserva che la Gerusalemme celeste non è altro che la ricostituzione del Paradiso terrestre, secondo un’analogia che si applica in senso inverso.[11] 

All’inizio dei tempi, ossia del ciclo attuale, il Paradiso terrestre è stato reso inaccessibile a causa della caduta dell’uomo; la nuova Gerusalemme deve «discendere dal cielo sulla terra» alla fine dello stesso ciclo, per segnare la restaurazione di tutte le cose nel loro ordine primordiale, e si può dire che essa avrà per il ciclo futuro lo stesso ruolo che il Paradiso terrestre ha per quello attuale. 

Infatti la fine di un ciclo è analoga al suo inizio e coincide con l’inizio del ciclo seguente; ciò che era solo virtuale all’inizio del ciclo si trova effettivamente realizzato al suo termine, e allora genera immediatamente le virtualità che a loro volta si svilupperanno nel corso del ciclo futuro; ma è una questione sulla quale non possiamo soffermarci senza uscire del tutto dal nostro tema.[12] 

Aggiungeremo soltanto, per indicare un altro aspetto dello stesso simbolismo, che il centro dell’essere, al quale abbiamo fatto allusione sopra, è designato dalla tradizione indù come la «città di Brahma» (in sanscrito Brama-pura), e che diversi testi ne parlano in termini quasi identici a quelli che troviamo nella descrizione apocalittica della Gerusalemme celeste.[13] 

Infine, per tornare a quanto riguarda più direttamente il viaggio di Dante, è opportuno osservare che se il punto iniziale del ciclo diventa il termine della traversata del mondo terrestre, ciò racchiude un’allusione formale a quel «ritorno alle origini» che ha un ruolo importante in tutte le dottrine tradizionali, e sul quale, con notevole accordo, l’esoterismo islamico e il Taoismo insistono particolarmente; anche qui si tratta della restaurazione dello «stato edenico» di cui abbiamo già parlato e che va considerata come una condizione preliminare per la conquista degli stati superiori dell’essere.

Il punto equidistante dalle due estremità di cui abbiamo parlato, ossia il centro della terra, è, come abbiamo detto, il punto più basso, e corrisponde anche al centro del ciclo cosmico, allorché questo ciclo è considerato cronologicamente o sotto l’aspetto della successione. Si può infatti dividere l’insieme in due fasi, l’una discendente, che va nel senso di. una differenziazione sempre più accentuata, e l’altra ascendente, di ritorno verso lo stato principiale. 

Queste due fasi, che la dottrina indù paragona a quelle della respirazione, si ritrovano anche nelle teorie ermetiche, in cui sono chiamate «coagulazione» e «soluzione»: in virtù delle leggi dell’analogia, la «Grande Opera» riproduce in compendio tutto il ciclo cosmico. Vi si può vedere la prevalenza rispettiva delle due tendenze contrarie, tamas e sattwa, che abbiamo definito in precedenza: la prima si manifesta in tutte le forze di contrazione e di condensazione, la seconda in tutte le forze di espansione e di dilatazione; e troviamo anche, a questo riguardo, una corrispondenza con le proprietà opposte del caldo e del freddo: il primo dilata i corpi, il secondo li contrae; per questo motivo l’ultimo cerchio dell’Inferno è gelato. Lucifero simboleggia l’«attrazione inversa della natura», cioè la tendenza all’individualizzazione, con tutte le limitazioni inerenti; la sua dimora è dunque «‘l punto / al qual si traggon d’ogni parte i pesi»,[14] o, in altri termini, il centro di quelle forze attrattive e compressive che nel mondo terrestre sono rappresentate dalla gravità; e questa, che attira i corpi verso il basso (che è in ogni luogo il centro della terra), è veramente una manifestazione del tamas

Possiamo osservare di sfuggita che ciò è contrario all’ipotesi geologica del «fuoco centrale», giacché il punto più basso deve essere precisamente quello dove la densità e la solidità sono al loro massimo; ed è altrettanto contrario all’ipotesi, avanzata da certi astronomi, di una «fine del mondo» per congelamento, poiché tale fine non può essere altro che un ritorno all’indifferenziazione. 

D’altronde, quest’ultima ipotesi è in contraddizione con tutte le concezioni tradizionali: non è solo per Eraclito e per gli Stoici che la distruzione del mondo doveva coincidere con la sua combustione; la stessa affermazione si trova pressappoco ovunque, dai Purâna dell’India all’Apocalisse; e dobbiamo anche constatare la consonanza di queste tradizioni con la dottrina ermetica, per la quale il fuoco (l’elemento nel quale predomina il sattwa) è l’agente del «rinnovamento della natura» o della «reintegrazione finale».

Il centro della terra rappresenta dunque il punto estremo della manifestazione nello stato di esistenza considerato; è un vero e proprio punto di arresto, a partire dal quale si produce un cambiamento di direzione, e la preponderanza passa dall’una all’altra delle due tendenze opposte. Perciò, non appena è stato raggiunto il fondo degli Inferi, comincia l’ascesa o il ritorno verso il principio, che segue immediatamente alla discesa; e il passaggio dall’uno all’altro emisfero avviene aggirando il corpo di Lucifero, così da far pensare che la considerazione di quel punto centrale abbia un certo rapporto con i misteri massonici della «Camera di Mezzo», in cui si tratta ugualmente di morte e resurrezione. Dovunque e sempre, ritroviamo l’espressione simbolica delle due fasi complementari che, nell’iniziazione o nella «Grande Opera» ermetica (che sono in fondo la medesima cosa), traducono quelle stesse leggi cicliche, universalmente applicabili, sulle quali si basa, secondo noi, tutta la costruzione del poema di Dante.

Scritto da René Guénon

L'esoterismo di Dante

Note

[11] Fra il Paradiso terrestre e la Gerusalemme celeste c’è lo stesso rapporto che fra i due Adamo di cui parla San Paolo (Prima lettera ai Corinzi, 15).

[12] A questo proposito vi sarebbero molte altre questioni interessanti da approfondire, ad esempio: perché il Paradiso terrestre è descritto come un giardino e con un simbolismo vegetale, mentre la Gerusalemme celeste è descritta come una città e con un simbolismo minerale? Il fatto è che la vegetazione rappresenta l’elaborazione dei germi nella sfera dell’assimilazione vitale, mentre i minerali rappresentano i risultati definitivamente fissati, per così dire «cristallizzati», al termine dello sviluppo ciclico.

[13] I parallelismi cui danno luogo quei testi sono ancora più significativi quando si conosca la relazione che unisce l’Agnello del simbolismo cristiano all’Agni vedico (il cui veicolo è del resto rappresentato dall’ariete). Non pretendiamo che fra le parole Agnus e Ignis (l’equivalente latino di Agni) vi sia altro che una di quelle similitudini fonetiche alle quali alludevamo in precedenza, che possono benissimo non corrispondere ad alcuna parentela linguistica propriamente detta, ma che non sono puramente accidentali. Quello di cui vogliamo soprattutto parlare è un certo aspetto del simbolismo del fuoco, che in diverse forme tradizionali è strettamente legato all’idea dell’«Amore», trasposto in un senso superiore come in Dante; e in questo Dante si ispira a san Giovanni, al quale gli Ordini di cavalleria hanno sempre ricollegato le loro concezioni dottrinali. Si deve inoltre osservare che l’Agnello appare associato sia alle rappresentazioni del Paradiso terrestre che a quelle della Gerusalemme celeste. 

[14] Inferno, XXXIV, 110-111.

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