lunedì 1 novembre 2021

Guida sintetica all’universo delle diossine (2/2) | AMBIENTE

DA DOVE VENGONO LE DIOSSINE

Le diossine sono un prodotto non desiderato di due azioni: processi chimici industriali e processi di combustione nei quali il protagonista è il cloro. Il cloro è esattamente lo stesso elemento utilizzato nelle piscine, dove vengono sfruttate le sue proprietà di disinfettante. Qui, invece, entra in gioco in maniera completamente diversa.

Due concetti devono, dunque, essere chiari e fissati nella nostra mente:

Le diossine si formano bruciando prodotti al di sopra dei 250 gradi.

Le diossine si formano bruciando prodotti in cui è presente del cloro.

Ecco un elenco di alcuni prodotti che, bruciati, rilasciano diossine:

Legno

Prodotti tessili

Prodotti in pelle

Prodotti elettrici ed elettronici

Materie plastiche 

Gomme

Le industrie

Il settore industriale, inteso in senso proprio, determina quasi il 70% delle emissioni. Ciò avviene a causa della presenza di caldaie, motori, forni industriali e a causa dei vari processi di produzione, i quali agiscono in maniera diretta nella diffusione delle diossine. Inoltre i prodotti industriali finiti agiscono in maniera indiretta, essendo delle riserve di diossine.

Ecco i settori implicati:

  • l’industria dell’acciaio (vedi ILVA di Taranto)
  • impianti dove si fondono metalli non ferrosi (piombo e rame ad esempio)
  • qualsiasi impianto alimentato con combustibile fossile (cioè carbone, petrolio e gas naturale) lavorazione della carta
  • lavorazione del legno
  • produzione metallurgica
  • produzione di diserbanti e pesticidi
  • produzione di plastica
  • produzione di vernici

Chi lavora in questi settori, fa parte di una categoria particolarmente a rischio ed esistono apposite normative. Abitare nei pressi di tali aziende è un fattore di rischio oggettivo. Il fatto che le aziende siano a norma o vengano controllate periodicamente non esclude la possibilità di problemi tecnici o comportamenti illeciti nello smaltire i rifiuti, facendo un esempio del tutto casuale. 

Non sono considerazioni personali: sono dati statistici. Abbiamo citato l’ILVA di Taranto. Ebbene, la diossina a Taranto è passata da 0,77 picogrammi a 7,06 in 10 anni (2008-2018, fonte ARPA Puglia).

Smaltimento dei rifiuti

I citati prodotti industriali finiscono in discariche, legali o illegali, oppure in inceneritori, oppure vengono interrati. Lo smaltimento dei rifiuti rappresenta quasi il 15% delle cause di diffusione delle diossine. I sistemi moderni di gestione della spazzatura hanno notevolmente migliorato la situazione, tuttavia il problema non è (solo) la valutazione dell’efficienza delle aziende, le quali sono sottoposte a controlli legali e scientifici. 

Ribadiamolo: il guaio è tenere sotto controllo lo smaltimento illegale e gli incidenti. Negli incendi di rifiuti (ma anche di edifici) la quasi certa presenza del rame facilita il processo di formazione di diossine, essendone il rame un catalizzatore.

Altre fonti

Gli impianti agricoli e residenziali che prevedono combustioni generano diossine. Il traffico automobilistico è esso stesso una fonte diretta, anche se con l’utilizzo di carburanti senza piombo la pericolosità è stata ridotta di un fattore 13. Il contributo di queste voci, sommate, si assesta intorno al 10%. 

Finanche il fumo di sigaretta contiene piccole quantità di diossine. Fonti naturali di diossine sono le eruzioni vulcaniche ma anche gli incendi boschivi.

DIOSSINE NELL’ARIA

Nube tossica. È questo che ci viene in mente quando pensiamo alle emissioni di diossine. Badiamo, in sostanza, alle diossine che respiriamo. Il che ha perfettamente senso, tuttavia il problema è molto più complesso. Le diossine nell’atmosfera sono presenti sia sotto forma di gas, sia sotto forma di particelle (particolato). Due sono i problemi da studiare:

  1. Contatto diretto con le diossine presenti nell’aria (quando respiriamo le diossine).
  2. Deposizione su suolo, vegetazione e superfici acquatiche.

Le diossine vengono rimosse dalla atmosfera nei seguenti modi:

  • Con la pioggia (“deposizione umida”).
  • Le particelle presenti nell’aria semplicemente cadono al suolo.
  • Le diossine presenti come gas vengono assorbite dalla vegetazione.

Non basta evitare di respirare aria inquinata ovvero restare a debita distanza da un incendio. Solamente il 5% delle diossine che assorbiamo a livello giornaliero proviene direttamente dall’aria. De facto, non esiste una norma precisa sulla presenza delle diossine nell’aria proprio a causa di questa bassa percentuale. 

Attenzione, cerchiamo di non confondere le cose: l’OMS fa un ragionamento statistico, dal quale si deduce che la maggior parte delle diossine viene immagazzinata tramite il cibo, ma ciò non significa che non dobbiamo preoccuparci dell’aria, è esattamente il contrario! 

Non solo il problema esiste durante l’emissione diretta delle diossine, cioè durante gli incendi, ma anche dopo che essi si sono esauriti. Le diossine non scompaiono con lo spegnimento degli incendi, esse albergano nelle carni sulle nostra tavole, nel latte, nelle mozzarelle. Il Länderausschusses für Immissionsschutz (LAI), cioè il “Comitato federale per il controllo dell’inquinamento” della Germania, ha proposto un limite di 0,15 pg WHO-TEQ/m³. Facciamo alcuni confronti: i valori medi annuali a Taranto (presenza dell’ILVA) nel 2006 erano di 0.023pg I-TEQ/m³; a Brescia (presenza di un inceneritore) 0,015pgI-TEQ/m³.

L’OMS suggerisce 0,3 pgTEQ/m3 come limite dopo il quale sia necessario indagare. Interessante è sapere che più piove, meno diossine restano nell’aria (le quali, ripetiamolo ancora, non scompaiono: vanno a finire nel cibo!). Per capire quale peso abbiano queste statistiche, possiamo fare un confronto con le risultanze del fondo urbano di Roma: 0,065pgWHO-TEQ/m3 (analisi del 2005). A Londra nel 2010 si è arrivati a 0,108.

Attenzione: tutte le raccomandazioni fanno riferimento alla esposizione prolungata (un anno almeno), non all’evento singolo. Altrettanto ovviamente il ripetersi dei fenomeni è un fattore di rischio enorme: è la somma che fa il totale (Totò docet).

DIOSSINE E RIFIUTI

Cosa accade quando rifiuti di diversa natura vengono bruciati in maniera non controllata oppure c’è un incidente industriale? 

Rispondiamo a questo quesito in maniera schematica, segnalando la dose di diossine che ci becchiamo, caso per caso:

  • Incendio di rifiuti non controllato: da 9µgWHO-TEQ/tonnellata a 6655µgWHO-TEQ/tonnellata, dove il µg indica un milionesimo di grammo. Il valore cresce in maniera esponenziale con la percentuale di PVC presente tra i rifiuti. Il rame funge da catalizzatore del processo di formazione delle diossine, ergo la sua presenza fa aumentare notevolmente l’emissione. Studi su incendi di discariche hanno fornito valori medi di 1000µgWHO-TEQ/tonnellata.
  • Incendio di automobile moderna in una galleria: 44µgWHO-TEQ/tonnellata.
  • Incendio di un cavo elettrico: 1000µgWHO-TEQ/tonnellata.
  • Combustione a 500° di prodotti chimici PCP: 740000µgWHO-TEQ/tonnellata di pentachlorophenol (un pesticida).
  • Incendio PVC uso agricolo: 6600 µgWHO-TEQ/tonnellata
  • Incendio domestico medio: 83µgWHO-TEQ/tonnellata
  • Incendio industriale medio: 500µgWHO-TEQ/tonnellata

DIOSSINE E CIBO

Fatta salva la fase acuta del problema, cioè il periodo dell’incendio, durante il quale respiriamo in maniera diretta le diossine, il problema fondamentale è l’assunzione di cibo contaminato. Questo meccanismo ci regala il 95% delle diossine. 

Gli animali: il problema principale

Le diossine si depositano (deposizione atmosferica in fase vapore) sulle foglie delle piante, vengono ingerite dagli animali (pesci compresi ovviamente, seppure in maniera differente) e vengono immagazzinate nei loro grassi (carni e latte). Essendo il suolo una tipica matrice di accumulo, qualsiasi tipo di allevamento o pascolo è a rischio. Latte e latticini contaminati rappresentano il 37% circa, ma occhio a carni bovine e suine, per non parlare di polli e galline. Tra i prodotti ittici sono da citare salmone e aringhe.

Vegetali: un problema trascurabile

I prodotti di origine vegetale contribuiscono in piccola percentuale. Le piante assorbono poche diossine: la maggior parte di esse viene bloccata dal carbonio organico del suolo. La famiglia delle cucurbitacee (zucchine, zucche, ecc.), invece, riceve una percentuale preoccupante di diossine: esse rilasciano sostanze che bloccano le diossine in prossimità delle radici, radici che assorbono pienamente il tutto. Patate e carote sono interessati solo da un assorbimento superficiale da contatto: tolta la buccia, passata la paura.

La dieta mediterranea

Mangiare poca carne e pochi grassi è fondamentale per accumulare poche diossine. La dieta mediterranea risulta ideale. Nel 2000 in Belgio si assumevano 132,9 pg di diossine al giorno, in Italia 7pg, il che appare ovvio: in Italia si assumono parecchi carboidrati, molta verdura e molta frutta, tutti elementi poco contaminati da diossine. In Belgio l’alimentazione si basa quasi totalmente su cibi di origine animale.

Quante diossine possono assumere mediamente al giorno, alla settimana o in un mese senza avere problemi di salute?

La Organizzazione Mondiale della Sanità aveva fissato nel 1991 un valore limite di assunzione quotidiana di diossine pari a 10pg/Kg al giorno. Entro questo limite, il Tolerable Dail Intake (TDI) si supponeva l’assenza di effetti tossici. Questo valore limite fu poi notevolmente abbassato a causa di nuove evidenze scientifiche: 1-4pg/Kg al giorno. Nel 2018 la EFSA (l’associazione europea per la sicurezza sul cibo) ha riconsiderato tali valori. Parlando del DST (cioè la dose settimanale limite), gli esperti hanno proposto un limite di 2pg/Kg a settimana, più di 7 volte inferiore al limite precedente. 

Gli studi hanno evidenziato una diminuzione della qualità dello sperma, effetti nocivi sul sangue e chiara cancerosità. La OMS ha recentemente fornito un limite mensile pari a 70pg/Kg (PTMI, provisional tolerable monthly intake). 

Questi limiti ci dicono quale quota di diossine può essere ingerita durante l’intero arco della nostra vita, fornendoci, per mera semplicità, dei valori puntuali (giornalieri, settimanali o mensili), ma attenzione: i limiti sono stati abbassati in maniera considerevole negli ultimi 30 anni, passando dai citati 10pg/Kg al giorno a 0,28pg/Kg.

L’ESEMPIO DELLE MOZZARELLE

Per legge, il limite di diossine nei prodotti caseari è di 2,5pg ogni grammo di grasso. Come detto, i latticini sono grandi portatori di diossine, essendo composti al 25% (almeno) da grasso di provenienza animale, la naturale riserva delle diossine. Supponiamo di avere delle mozzarelle con presenza di diossine, in particolare supponiamo vi siano 5pgWHO-TEQ/g di grasso, cioè il doppio del limite legale, valore del tutto plausibile in base alle prime indagini del 2008 nel casertano.

Andiamo a prendere il nostro classico mezzo chilo di bocconcini, composti, come detto, da circa il 25% di grasso. Avremo 125g contaminati, con un totale di 625pgWHO-TEQ. Supponiamo di adottare l’intervallo proposto dalla OMS e di metterci nel mezzo, cioè supponiamo un limite giornaliero di 2.5pgWHO-TEQ/Kg: un soggetto di 80Kg può assumere al massimo 200pgWHO-TEQ di diossine al giorno. 

Se il soggetto mangiasse mezzo chilo di bocconcini così inquinati ogni 4 giorni, si troverebbe a superare il limite segnalato già solamente con l’assunzione di questo alimento!

Secondo il limite della EFSA, un soggetto di 80Kg può assumere massimo 160pgWHO-TEQ a settimana cioè 640 circa al mese. Questo significa che il nostro mezzo chilo di bocconcini inquinati con 625pgWHO-TEQ farebbe sfiorare già da solo il limite mensile di sicurezza! 

DIOSSINE E PATOLOGIE

Quando si è esposti in maniera diretta a livelli elevati di diossine, per esempio subito dopo un incidente od un incendio, gli effetti sono gravi e sostanzialmente immediati:

  • Malattie della pelle: cloracne
  • Problemi al fegato
  • Alterazioni del metabolismo del glucosio

Esempi classici: Seveso (incidente del 1976) e guerra del Vietnam. L’esposizione a dosi prolungata alle diossine, a dosi ovviamente più basse dell’esempio precedente, provoca:

  • Danni sia al sistema immunitario 
  • Danni alla tiroide endocrino
  • Interferire con l’equilibrio fisiologico degli ormoni tiroidei e steroidei
  • Effetti sullo sviluppo dei feti e dei neonati 
  • Tumore al tessuto linfatico
  • Leucemia
  • Linfomi non-Hodgkin
  • Tumore al seno
  • Tumore alla tiroide

L’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro IARC (in inglese, International Agency for Research on Cancer) classifica le diossine (ovviamente non tutte, ma quelle dannose) nel gruppo 1 tra gli elementi cancerogeni. Un problema gravissimo è l’accumulo delle diossine nel latte materno, per lo stesso meccanismo fino a ora descritto (i grassi). Dobbiamo prendere confidenza col concetto di “bioaccumulo”: fenomeno di accumulo di una sostanza nociva nei tessuti degli organismi viventi. L’uomo assorbe diossine e le immagazzina nei grassi. 

Gli effetti delle diossine NON sono visibili a breve termine: come tutti i fattori di rischio che portano al cancro, la loro pericolosità si declina nel lungo termine. Pensate che l’emivita delle diossine nel nostro tessuto adiposo è compresa tra i 7 e gli 11 anni.

COME TUTELARSI

Cosa fare se abbiamo respirato diossine dopo, facendo un esempio del tutto casuale, un incendio di rifiuti?

  • Bere acqua e limone, perché in cotal guisa si producono enzimi che trasformano le tossine in qualcosa di solubile in acqua.
  • Mangiare mele, utili per l’azione drenante della pectina.
  • Assumere integratori antiossidanti (in farmacia, alcuni sono a base di olive e pomodori).
  • Assumere prodotti antiossidanti, come omega-3 e carotenoidi. 
Più del 90% delle diossine proviene dal cibo. Come regolare l’alimentazione?

  • Diminuire i grassi animali dato che, come detto, le diossine vengono immagazzinate in essi.
  • Prestare attenzione a latte, burro, formaggi e latticini.
  • Diminuire il consumo di carni.
  • Mangiare molta verdura e molta frutta, visto che non assorbono diossine.
  • Evitare zucchine et simili.
  • A causa dell’accumulo delle diossine nei grassi, mantenere il proprio peso forma riduce i rischi.

Come faccio a capire la pericolosità dell’incendio?

Il colore del fumo: se nero, molto male! Si parla di “nerofumo” quando esso si forma a causa della presenza di plastica (leggi petrolio). Esso raggiunge facilmente la profondità dei bronchi e ha sicuramente una bella dose di diossine da regalarci in maniera diretta o indiretta.

A quale distanza posso ritenermi al sicuro?

Come detto, il problema diossine è legato soprattutto alla contaminazione del cibo. Tenendo conto che NON è possibile stabilire un raggio limite, a causa di vento, pioggia, percentuali nocive variabili, caratteristiche del terreno e così via, possiamo supporre l’esistenza di una area di rischio di almeno 10Km di diametro, a livello zootecnico.

Per evitare di inalare in maniera diretta i fumi nocivi, le mascherine commerciali non servono assolutamente a nulla. Le misure da adottare dipendono sempre dalla gravità dell’accaduto, da quante diossine si prevede possano essere liberate nell’aria. Dopo un certo periodo, le diossine si depositano e si passa dal problema inalazione al problema catena alimentare.

Scritto da Patrizio Cioffi

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