venerdì 7 maggio 2021

Da Caudium ai nostri giorni | BRIGANTAGGIO CAUDINO

Da Caudium ai nostri giorni 

Quando all'indomani della vittoria garibaldina più forte si fece anche da noi il sentimento nazionale, numerosi giovani intellettuali si mossero per dare aiuto alle truppe piemontesi impegnate a stanare gli ultimi borbonici, arroccatisi nell'entroterra molisano (1). 

Proprio per liquidare le ultime forze borboniche ai primi di ottobre del 1860 partì da Montesarchio verso Terra di Lavoro la Legione della Valle Caudina, un manipolo di una settantina di volontari che partecipò alla battaglia ingaggiata nelle campagne di Isernia, contro la residua resistenza borbonica; lo scontro fu violento e diversi giovani montesarchiesi, accorsi per liberare il suolo italiano, caddero sotto il fuoco nemico: tra questi, Gaetano Manfredi, Antonio Romano, Raffaele Grasso, Nicola Foglia e Agostino Lombardi (2). 

L'impegno dei giovani patrioti Caudini si dimostrò pronto e presente laddove vi era necessità di combattere sacche di resistenza antiunitarie: così nel settembre 1860 a Torrecuso, a Sant'Agata dei Goti, ai ponti della Valle di Maddaloni ed in Irpinia. Montesarchio tenne sempre fede alla sua tradizione liberale ed unitaria, anche quando, dopo la resa definitiva dei borbonici a Capua, tutti i battaglioni garibaldini furono sciolti; infatti, nel decennio successivo le forze si dispiegarono contro i briganti. L'analisi di coloro che si impegnarono per l'unità nazionale sarebbe troppo lunga e rischierebbe di sviare l'itinerario che stiamo percorrendo. Ci preme aggiungere solo che la parentesi risorgimentale, seppure sentita dal ceto civile di Montesarchio, non provocò, come d'altronde successe in altre regioni d'Italia, il popolo: sia per i moti del 1820 che per quelli del 1848 però non furono in pochi a credere negli ideali liberali ed unitari (3). 

Molti patrioti Caudini immolarono la propria vita, affascinati dai vari programmi rivoluzionari, che si andavano diffondendo: di alcuni di essi oggi non conosciamo neppure i nomi. 

Tuttavia il processo della Storia ha dato loro ragione, se oggi con sempre maggior forza ci avviamo verso uno Stato sovranazionale europeo, libero e democratico (4). 

Dopo il 1860, le aree interne del Meridione mostrarono ancor più, rispetto alle regioni settentrionali, il grave stato di arretratezza e di sottosviluppo: la Destra storica, nel primo decennio unitario non si preoccupò tanto di sollevare le sorti delle aree depresse; anzi, per colmare le forti spese del rilancio economico il governo piemontese pretese dal Sud, peraltro già povero nelle risorse, tributi fiscali estremamente gravosi: un prezzo troppo alto che scatenò, in particolare nel Sannio e in Irpinia, il fenomeno del brigantaggio (5); 

esso impegnò per qualche decennio lo Stato in una spietata e discutibile guerra di posizione. Più di centomila uomini furono impegnati, nella fase più acuta: 

la crudele repressione non risparmiò donne e bambini, con un bilancio di 3500 morti e più di 2000 condanne a pene detentive (6). 

La Valle Caudina, per la sua intricata configurazione geografica fu uno dei ritrovi ideali dei briganti, che, soprattutto dalle macchie boschive del Taburno e della catena del Partenio, infestarono indisturbati le campagne, appoggiati dal nostro ceto contadino, estremamente arretrato ed ignorante. In molti, tra Montesarchio, San Martino e Cervinara, si diedero alla pratica del banditismo, tanto che per tutta la seconda metà dell'800, la borghesia caudina benestante visse nel continuo timore di aggressioni e di atti criminali e la polizia regia più volte organizzò vaste battute per stanare i briganti, le cui imprese sanguinarie erano spesso strumentalizzate ed esagerate dal potere centrale. Ciò non toglie che sin dal 1861, senza chiari ideali politici, i banditi si macchiarono di orrendi delitti, come l'omicidio del sacerdote don Pasquale Viscusi e del sindaco di Cervinara, Donato Pagnozzi, compiuto verso la fine del 1864. Il Renna racconta che uomini come Peppe Abate, Francesco ed Onofrio Izzo, Luciano Martino spadroneggiavano in tutta la Valle, al punto che, durante una battuta, il 3 luglio 1861, i soldati regi furono affrontati dai briganti e costretti alla ritirata nella gola di Arpaia (7). 

Ufficiale della Guardia Nazionale e responsabile dell'ordine pubblico a Montesarchio, negli anni più difficili del primo decennio unitario, fu quel Carlo De Simone, garibaldino ardente, che spiegò una grande energia contro il brigantaggio, prima del definitivo intervento dell'esercito regio. Definite da specifiche aree di influenza, le varie bande si dividevano il territorio caudino; per più di un decennio spadroneggiarono su Montesarchio e tutta la fascia pedemontana del Taburno gli uomini di Onofrio Izzo, che insieme al boneano Pietrantonio Luciano ed al buccianese Andrea De Masi, impose la sua legge sui commerci e sulla vita sociale, con ogni sorta di ribalderia, compreso l'assassinio e il rapimento (8). 

Contro di loro si prodigò il grande proprietario terriero di Montesarchio mandamentale della Guardia Nazionale, tra il 1860 ed il 1864, che riuscì a catturare e fucilarne una buona parte (9). 

Per quanto concerne la genealogia dinastica, l'eversione della feudalità svuotò il senso e l'attribuzione dei titoli di governo; al tempo dei Borboni, sotto Ferdinando II, Montesarchio ebbe come suo ultimo signore Alfonso di Casa D'Avalos, Marchese del Vasto*, che tenne la cittadina Caudina fino al crollo del Regno delle Due Sicilie (1860). Quando poi si provvide all'unificazione nazionale, a Montesarchio fu assegnato il capoluogo di Mandamento (10), e la città entrò nella nuova orbita dello Stato Italiano; le sue vicende storiche persero il significato del fenomeno puramente locale, inquadrandosi nella più vasta problematica della provincia beneventana, alla quale ancora oggi appartiene.

 Scritto da Vincenzo Napolitano

"Montesarchio - da Caudium ai nostri giorni" di Vincenzo NAPOLITANO - Edizioni Realtà Sannita - Benevento, 1991

NOTE

1 La vittoria di Garibaldi sulle rive del Volturno (1860) richiamò numerosi patrioti da ogni parte della Campania; d'altra parte però la fuga del sovrano di Napoli, Francesco II, nella fortezza di Gaeta, non aveva scatenato come si sperava l'insurrezione generale. Per ulteriori approfondimenti, cfr.: D. DE MARCO - "Il crollo del Regno delle Due Sicilie", Napoli 1960.

2 L'esito della battaglia volse a favore dei borbonici: i garibaldini erano giunti con tre battaglioni; uno di questi era la Legione Valle Caudina, guidata da Carlo De Simone di Montesarchio. L'intenzione era di sedare uno dei tanti moti reazionari: invece, la resistenza dei Sanfedisti tramutò la vittoria scontata in una sconfitta. Numerosi testi di storia ricordano tra le fila lo scontro di Isernia, che tuttavia servì a rendere consapevole il popolo molisano della necessità della causa unitaria. Gli atti della Legione Caudina sono documentati in: C.CATURANO - "Per un dizionario bio-biblografico caudino", Avellino, 1986.

Scorrendo i nomi, rinveniamo l'ingegnere bavierasco Giorgio Haetzel, esule a Montesarchio, che nel 1860 partecipò alla campagna militare contro l'ultimo Borbone, distinguendosi nella lotta ai briganti che infestavano la Valle Caudina; l'avvocato Giovanni Marucci, elencato come sovversivo nei registri della polizia borbonica; Nicola Nazzaro, convinto liberale, membro della Setta carbonara Erennio, prese parte al moti del '21, subendo il carcere e la morte ed altri ancora.

4 Il popolo di Montesarchio, di chiare radici borghesi, rispose con maggiore entusiasmo degli altri in Valle Caudina, agli aneliti risorgimentali che giungevano dalla Capitale; ciò però non significa che si verificarono sollevazioni e tumulti antiborbonici.

5 Il brigantaggio non fu un fenomeno politico, contro l'unità nazionale, anche se fu fomentato dal partito borbonico e dall'opposizione clericale. Le cause di questa reazione selvaggia furono molteplici: le imposizioni fiscali, la coscrizione militare obbligatoria, l'odio del mondo contadino per la borghesia liberale. Altri approfondimenti sono in: F. GAETA-P.VILLANI - "Il primo decennio dello Stato unitario", in "Como di Storia", vol. III, Milano 1974.

6 Gli storici sono oggi concordi nel considerare la repressione militare attuata dal governo piemontese un grave errore politico.

7 Il compianto Angelo Renna, ricercatore cervinarese, ha dedicato all'argomento una monografia in cui ha sottolineato la natura sociale del brigantaggio, come fenomeno congenito alle cause storiche che lo determinarono. Cfr.: A.RENNA - "Terra di briganti" - Milano 1978.

8 In buoni rapporti con i briganti di Cervinara e San Martino, Izzo gestì il malaffare in Montesarchio, fino al 1865, quando l'azione repressiva dello Stato si fece particolarmente violenta ed estirpò senza alcuna pietà la cancrena dal monti del Sannio e dell'Irpinia.

Da accorto liberale il D'Ambrosio comprese che il brigantaggio andava combattuto come residuo politico del malgoverno borbonico e quindi di estremo danno per la coscienza civile unitaria.

10 La funzione egemone di Montesarchio, rispetto agli altri centri abitati della Valle Caudina, fu intuita anche dai Borboni, che nell'ambito della ripartizione amministrativa e giuridica delle province del Regno, assegnarono nel 1811 alla cittadina il Capoluogo di Circondario.

 *In copertina Alfonso di Casa D'Avalos, Marchese del Vasto

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