giovedì 23 dicembre 2021

René Guénon - La crisi del mondo moderno | Prefazione dell'Autore

Prefazione dell'Autore

La crisi del mondo moderno

Alcuni anni fa, scrivendo Oriente e Occidente, pensavamo di aver fornito tutte le indicazioni utili relative all’argomento trattato, almeno per quel momento [1].

Da allora, gli avvenimenti si sono precipitati con una velocità sempre crescente, tanto da rendere opportune alcune precisazioni supplementari, le quali, senza cambiare una sola parola di ciò che dicemmo allora, saranno costituite dallo sviluppo di alcuni punti di vista che in un primo tempo non avevamo ritenuto necessario approfondire.


Tanto più che tali precisazioni si impongono per il fatto che, negli ultimi tempi, abbiamo visto affermarsi ulteriormente e in maniera parecchio aggressiva, alcune delle confusioni che ci eravamo preoccupati di segnalare e di dissipare; ora, pur astenendoci accuratamente dal partecipare a qualsivoglia polemica, abbiamo ritenuto opportuno puntualizzare ulteriormente alcune questioni. 

In questo campo vi sono delle considerazioni, financo elementari, che sembrano talmente estranee alla stragrande maggioranza dei nostri contemporanei che, per farle loro comprendere, è necessario riproporle a più riprese, presentandole sotto differenti aspetti e spiegandole in maniera sempre più ampia via via che le circostanze lo permettono; cosa questa che può dar luogo a delle difficoltà che non sempre è possibile prevedere fin dall’inizio. 


Lo stesso titolo del presente volume richiede alcuni chiarimenti che è necessario fornire a priori, affinché si sappia cosa ne pensiamo e non si ingeneri alcun equivoco a riguardo. 

Che si possa parlare di una crisi del mondo moderno, assumendo il termine «crisi» secondo la sua accezione ordinaria, è una cosa che molti, ormai, non mettono più in dubbio, e a questo proposito si è prodotto un cambiamento alquanto sensibile: 

sotto la stessa spinta degli avvenimenti certe illusioni cominciano a dissiparsi e, da parte nostra, non possiamo che compiacercene, poiché, malgrado tutto, si tratta di un sintomo assai favorevole, indice di una possibilità di raddrizzamento della mentalità contemporanea, qualcosa che si presenta come un piccolo barlume in mezzo al caos attuale. 

È così che la credenza in un «progresso» indefinito, fino a ieri considerato come una sorta di dogma intangibile e indiscutibile, non è più ammesso in maniera unanime: alcuni intravedono, più o meno vagamente e più o meno confusamente, che la civiltà occidentale invece di svilupparsi sempre nella stessa direzione, potrebbe benissimo giungere ad un punto di arresto o perfino sprofondare del tutto in qualche cataclisma. 

Forse costoro non intravedono chiaramente qual è il vero pericolo, e talvolta le fantasiose e puerili paure che manifestano dimostrano a sufficienza il persistere di parecchi errori nelle loro concezioni, ma in definitiva è già qualcosa che si rendano conto che esiste un pericolo, anche quando si limitano a percepirlo piuttosto che a comprenderlo veramente, ed è anche importante il fatto che arrivino a concepire che questa civiltà di cui i moderni sono così infatuati non occupa un posto privilegiato nella storia del mondo e che può subire la stessa sorte di altre civiltà scomparse in epoche più o meno lontane, fra le quali alcune non hanno lasciato che delle infime tracce, delle vestigia appena percettibili o difficilmente riconoscibili.

Dunque, allorché si dice che il mondo moderno è in crisi, abitualmente si intende che esso è giunto ad un punto critico o, in altri termini, che si profila come imminente una trasformazione più o meno profonda, e che, volenti o nolenti, dovrà inevitabilmente prodursi un cambiamento di rotta a breve scadenza, in maniera più o meno brusca, con o senza una catastrofe. 

Questo modo di vedere le cose è perfettamente legittimo e corrisponde esattamente a ciò che, per certi aspetti, pensiamo anche noi; ma solo per certi aspetti, poiché, secondo noi e ponendoci da un punto di vista più generale, è tutta l’epoca moderna nel suo insieme che si presenta come un periodo di crisi per il mondo intero; d’altronde, sembra proprio che stiamo avviandoci verso l’epilogo, ed è questo che rende più percettibile, oggi più di ieri, il carattere anormale di tale stato di cose, il quale dura ormai da alcuni secoli, ma le cui conseguenze non sono mai state così evidenti come adesso. 

Ed è per lo stesso motivo che gli avvenimenti si svolgono con quella velocità accelerata di cui dicevamo all’inizio; indubbiamente tutto ciò potrà ancora andare avanti per un po’, ma certo non indefinitamente; e anzi, senza avere la pretesa di voler assegnare un limite preciso, si ha l’impressione che non possa durare ancora per molto.

Ma, lo stesso termine «crisi» contiene anche altri significati, che lo rendono ancora più idoneo ad esprimere ciò che intendiamo dire: in effetti, la sua etimologia, che spesso si perde di vista nell’uso corrente, ma a cui è opportuno ricondursi come è giusto fare tutte le volte che si vuole restituire ad una parola la pienezza del suo vero significato ed il suo valore originario, la sua etimologia, dicevamo, ne fa in parte un sinonimo di «giudizio» e di «discriminazione». 

La fase che può essere detta veramente «critica», indipendentemente dell’ambito a cui ci si riferisce, è quella che sfocia immediatamente in una soluzione favorevole o sfavorevole, quella in cui interviene una decisione in un senso o nell’altro; ne consegue che è allora che è possibile esprimere un giudizio sui risultati acquisiti, è allora che è possibile soppesare i «pro» e i «contro», operando una sorta di classificazione di tali risultati, gli uni positivi, gli altri negativi, ed è allora che è possibile valutare da che parte pende definitivamente la bilancia. 

Sia chiaro, comunque, che non abbiamo minimamente la pretesa di stabilire in maniera compiuta una tale discriminazione, cosa che peraltro sarebbe anche prematura, poiché la crisi non è certo ancora risolta e forse non è nemmeno possibile dire con esattezza quando e come lo sarà; tanto più che è sempre preferibile astenersi da certe previsioni che, non potendosi basare su delle ragioni chiaramente comprensibili a tutti, rischierebbero di essere male interpretate, finendo con l’aumentare la confusione invece di apporvi un rimedio. 

Ciò che possiamo proporci è di contribuire, fino ad un certo punto e per quanto lo permettono i mezzi di cui disponiamo, a dare, a coloro che ne sono capaci, la coscienza di alcuni dei risultati che allo stato attuale sembrano essersi chiaramente fissati; ed a preparare, foss’anche in maniera molto parziale ed assai indiretta, gli elementi che dovranno poi servire per il futuro «giudizio», a partire dal quale si aprirà un nuovo periodo della storia dell’umanità terrena.

Alcune delle espressioni che abbiamo appena impiegate evocheranno, indubbiamente, nell’animo di alcuni, l’idea di ciò che si chiama il «giudizio universale», e, a dire il vero, non a torto; d’altronde, sia che lo si intenda in maniera letterale o simbolica, o in entrambi i modi, visto che in realtà questi non si escludono affatto fra loro, la cosa è qui poco importante, né questo è il luogo e il momento per spiegarci interamente sull’argomento. 


In ogni caso, il soppesare i «pro» ed i «contro», il valutare i risultati positivi e negativi di cui dicevamo prima, può sicuramente far pensare alla separazione degli «eletti» e dei «dannati» in due gruppi ormai fissati immutabilmente; ed anche se si tratta solo di una analogia, bisogna riconoscere che, quantomeno, si tratta di una analogia valida e ben fondata, conforme alla natura stessa della cose; il che richiede ancora alcuni chiarimenti.

Certo, non è un caso che oggigiorno tanti siano ossessionati dall’idea della «fine del mondo»; e ci si può rammaricare di ciò, sotto certi aspetti, poiché le stravaganze a cui dà luogo una tale idea mal compresa, le divagazioni «messianiche» che ne derivano in certi ambienti, tutte queste manifestazioni derivate dallo squilibrio mentale della nostra epoca, non fanno che aggravare sempre più questo stesso squilibrio, e in misura assolutamente non trascurabile; ma, in definitiva, è altrettanto vero che ci si trova al cospetto di un fatto che non ci si può esimere dal prendere in considerazione.


L’atteggiamento più comodo, di fronte a cose di questo genere, è sicuramente quello di evitarle puramente e semplicemente, senza esami ulteriori, di trattarle come degli errori o delle fantasticherie senza importanza; 

tuttavia noi riteniamo che, pur trattandosi di errori e nonostante il fatto che vanno denunciati come tali, è molto più opportuno ricercare le ragioni che li hanno provocati e la parte di verità, più o meno deformata, che malgrado tutto essi possono contenere, poiché, essendo l’errore, in definitiva, solo un modo d’esistenza puramente negativo, non è possibile riscontrare in nessun caso l’errore assoluto, il quale è solo una parola priva di significato. 

Se si considerano le cose in questo modo, ci si accorge facilmente che questa preoccupazione della «fine del mondo» è strettamente connessa allo stato di malessere generale nel quale viviamo attualmente: 

l'oscuro presentimento di qualcosa che effettivamente sta per finire, agendo in maniera incontrollata sull’immaginazione di certuni, vi produce, in modo del tutto naturale, delle raffigurazioni disordinate e molto spesso grossolanamente materializzate, raffigurazioni che a loro volta si traducono esteriormente in quelle stravaganze di cui dicevamo prima. 


Questa spiegazione, comunque, non può essere una scusa a favore di queste ultime, o quantomeno: se è possibile scusare coloro che cadono involontariamente nell’errore, perché vi sono predisposti da uno stato mentale di cui non sono responsabili, questa non è una buona ragione per scusare l’errore in se stesso. Del resto, per quanto ci concerne, non ci si può certo rimproverare una eccessiva indulgenza nei confronti delle manifestazioni «pseudo-religiose» del mondo contemporaneo, né tampoco nei confronti di tutti gli errori moderni in generale; sappiamo anzi che certuni sarebbero piuttosto tentati di rivolgerci il rimprovero opposto, e forse ciò che diciamo in questa sede farà meglio comprender loro qual è il modo in cui noi consideriamo queste cose: 

ci sforziamo di porci sempre dal solo punto di vista che importi, quello della verità imparziale e disinteressata.

Ma non è tutto: una spiegazione semplicemente «psicologica» dell’idea della «fine del mondo» e delle sue attuali manifestazioni, per giusta che sia nel suo ordine, non potrebbe essere da noi considerata come pienamente sufficiente; fermarsi ad essa, significherebbe lasciarsi influenzare da una di quelle illusioni moderne contro le quali noi ci leviamo proprio in ogni occasione. 

Abbiamo detto prima che alcuni sentono confusamente la fine imminente di qualcosa di cui non possono definire con esattezza la natura è la portata; e bisogna ammettere che costoro hanno una percezione molto reale, quantunque vaga e soggetta a delle false interpretazioni o a delle deformazioni immaginative, poiché, quale che sia questa fine, la crisi che in essa deve necessariamente sfociare è del tutto manifesta e una moltitudine di segni non equivoci e facili da individuare conducono tutti in maniera concordante alla medesima conclusione. 

Tale fine, indubbiamente, non è la «fine del mondo» nel senso totale con cui la intendono certuni, ma essa è quantomeno la fine di un mondo; e se ciò che deve finire è la civiltà occidentale nella sua forma attuale, è comprensibile che coloro che si sono abituati a non dar conto a quanto vi è al di fuori di essa, a considerarla come «la civiltà» senza eccezioni, credano facilmente che tutto finirà con essa, che con la sua scomparsa si verificherà veramente la «fine del mondo».

Diremo dunque, per ricondurre le cose alla loro giusta dimensione, che sembra che ci si avvicini realmente alla fine di un mondo, vale a dire alla fine di un’epoca o di un cielo storico, i quali peraltro possono essere in corrispondenza con un ciclo cosmico, secondo quanto insegnano sull’argomento tutte le dottrine tradizionali. 

In passato si sono già verificati degli avvenimenti simili, e senza dubbio ve ne saranno ancora altri in avvenire; avvenimenti che, del resto, hanno rivestito un’importanza ineguale: a seconda che corrispondevano alla fine di periodi più o meno estesi e che interessavano o l’insieme dell’umanità terrena o solo l’una o l’altra delle sue parti, oppure una razza o popolo determinati. 

Nello stato attuale in cui si trova il mondo, vi è da supporre che il cambiamento che interverrà avrà una portata assai generale, e che, quale che sia la forma che esso rivestirà e che noi non intendiamo affatto cercare di definire, interesserà più o meno l’intero pianeta. In ogni caso, le leggi che reggono tali avvenimenti sono applicabili analogicamente ai gradi più diversi, di modo che quando si parla della «fine del mondo», nell’accezione più completa possibile, la quale peraltro è riferita ordinariamente solo al mondo terrestre, la stessa concezione è ugualmente valida, fatte salve le dovute proporzioni, nel caso della fine di un mondo qualunque, intesa in un senso molto più ristretto.

Queste osservazioni preliminari aiuteranno parecchio a comprendere le considerazioni che seguono; noi abbiamo già avuto occasione, in altri nostri lavori, di fare spesso allusione alle «leggi cicliche»; ora, sarebbe forse difficile esporre tali leggi in maniera completa e in una forma facilmente accessibile alla mentalità occidentale, ma è almeno necessario possedere alcuni dati sull’argomento se si vuole avere un’idea reale di ciò che è l’epoca attuale e di ciò che essa rappresenta esattamente nell’insieme della storia del mondo[2].

È per questo che noi inizieremo col mostrare che le caratteristiche di quest’epoca sono proprio quelle indicate dalle dottrine tradizionali di tutti i tempi per il periodo ciclico alla quale essa corrisponde; e questo equivarrà anche col mostrare che ciò che è anomalia e disordine da un certo punto di vista è, tuttavia, un elemento necessario di un ordine più vasto, una inevitabile conseguenza delle leggi che reggono lo sviluppo di ogni manifestazione. 

Del resto, diciamolo subito, quest’ultima non è una ragione sufficiente per limitarsi a subire passivamente il disordine e l’oscurità che sembrano momentaneamente trionfare, poiché se così fosse avremmo solo da assistere in silenzio; mentre invece si tratta di una buona ragione per operare, nei limiti del possibile, in vista dell’uscita da questa «età oscura», di cui moltissimi indizi permettono già di intravedere la fine come più o meno prossima, se non addirittura del tutto imminente. 

E anche questo rientra nell’ordine, poiché l’equilibrio è il risultato dell’azione simultanea di due opposte tendenze; se solo una delle due potesse cessare interamente d’agire, l’equilibrio non potrebbe mai più stabilirsi e lo stesso mondo svanirebbe; ma questa supposizione è irreale, poiché i due termini di una opposizione hanno senso solo l’uno in dipendenza dell’altro, e, quali che siano le apparenze, si può star certi che tutti gli squilibri parziali e transitori concorrono alla fine alla realizzazione dell’equilibrio totale.

Scritto da René Guénon

Cap. I - L’età oscura

Cap. II - L’opposizione fra Oriente e Occidente

Cap. III - Conoscenza e azione

Cap. IV - Scienza sacra e scienza profana

Cap. V - L’individualismo

Cap. VI - Il caos sociale

Cap. VII - Una civiltà materiale

Cap. VIII - L’invasione occidentale

Cap. IX - Qualche conclusione

* Traduzione di Calogero Cammarata 

[1] Oriente e Occidente venne pubblicato nel 1924, mentre la Crisi del Mondo Moderno apparve nel 1929. (n.d.t.)

[2] Si possono trovare delle considerazioni più dettagliate nella raccolta di articoli pubblicata col titolo Forme Tradizionali e Cicli Cosmici. (n.d.t.)

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