lunedì 30 maggio 2022

DON SAVERIO CAPORASO, l'eroe Caudino dimenticato. Dalla leggendaria difesa di Amba Alagi alla prigionia in Kenya | PERLE

Don Saverio Caporaso, sacerdote nato a Cervinara nel 1907, si distinse durante la Seconda Guerra Mondiale come cappellano militare al seguito delle CC.NN. in Etiopia. 

Il religioso Cervinarese partecipò in prima linea nelle falangi che combatterono nella leggendaria difesa di Amba Alagi, una montagna nella regione del Tigrè, precisamente nell'odierna Etiopia settentrionale. I "sacerdoti con le stellette", come Don Saverio, racchiudevano in loro la duplice identità di religiosi e di militari, donando ai Camerati l'affetto ed il sostegno, necessari per affrontare i tanti momenti di difficoltà di un conflitto. Punto di riferimento e di aggregazione per ufficiali, truppe e prigionieri, dopo la guerra in Africa continuò a combattere per il Popolo in ginocchio dopo la sconfitta.

Don Saverio aveva studiato con successo nel Semi­nario di Benevento e si affiliò alla Congregazione di San Gaspare del Bufalo, meglio conosciuta come la Congrega del Preziosissimo Sangue. Nel 1931 prese i voti e divenne prima sa­cerdote e poi missionario. In Terra d'Africa il religioso Caudino partecipò alla seconda celebre battaglia dell'Amba Alagi insieme ai settemila uomini in divisa, tra cui un battaglione di mitraglieri, un reggimento di artiglieria con 40 cannoni da 65/17 ed un reggimento di fanteria. Dall'altra parte della barricata c'erano. invece, i nemici della perfida Albione, numericamente superiori, ma non moralmente, né tantomeno come coraggio. 

I soldati britannici erano circa quarantamila di cui oltre la metà anglo-indiani e ed il resto abissini, pari a sedicimila unità, sei volte le truppe dell'Esercito Italiano. Inoltre, a sostegno dell'azione bellica c'era una divisione indiana, un raggruppamento di brigate sudafricane, vari reparti indigeni e si unì a loro anche un gruppo di guerriglieri etiopici. Insomma, la situazione non era delle migliori per il Cappellano Cervinarese pronto a difendere l'Impero.

Nel 1941, durante la Seconda guerra mondiale, di fronte alla travolgente avanzata dei britannici nell'Africa Orientale Italiana, il Viceré d'Etiopia Amedeo di Savoia aveva dato alle sue truppe l'ordine di proseguire la lotta nei ridotti dell'Amba Alagi, del Galla Sidama e dell'Amhara. Le truppe italiane rimaste al comando di Amedeo di Savoia si ritirarono da Addis Abeba per riorganizzarsi sulle montagne dell'Amba Alagi, mentre il Galla Sidama era difeso dal generale Pietro Gazzera e l'Amhara dal generale Guglielmo Nasi. Gli italiani abbandonarono Addis Abeba il 5 aprile e la città venne occupata dagli inglesi il giorno dopo.

Il 17 aprile del 1941 il duca d'Aosta si asserragliò con settemila uomini sull'Amba Alagi fortificandola. L'Amba Alagi è un monte alto circa 3.000 metri che fa parte di una catena montuosa formata da nove monti; nei pressi della catena montuosa si trova la strada che da Dessiè porta al nord e attraversa la catena tramite il passo Alagi, dal nome del monte che lo domina.

Gli inglesi ebbero l'ordine di inseguire gli italiani ed occupare la loro posizione. Dopo tre giorni di marcia, rallentata dai numerosi tratti di strada distrutti e dalle resistenze italiane, il 22 aprile gli inglesi espugnarono la città di Dessiè, a sud dell'Amba Alagi. Alla fine del mese la situazione cominciò a complicarsi per gli italiani che si trovano senza rifornimenti, con le truppe indiane provenienti dall'Eritrea ai piedi dell'Amba guidate dal generale Cunningham, che prese il comando delle forze inglesi in Kenya e nel 1941 occupò la Somalia italiana. Ad aprile dello stesso anno, dopo essere entrato ad Addis Abeba, provocò la resa degli italiani ad Amba Alagi concordata da Amedeo d'Aosta. Dopo la guerra, Cunningham, promosso generale il 30 ottobre 1945, tornò in Medio Oriente come Alto Commissario per la Palestina e la Transgiordania dal 1945 al 1948 quando il mandato britannico in Palestina scadde e Israele fu proclamato stato indipendente. 

La Battaglia

Nei primi di maggio del 1941 crebbe la pressione dei britannici, ma il 3 maggio gli italiani respinsero un duplice attacco inglese: mentre un reggimento avrebbe fatto da diversivo muovendosi verso est, verso il passo Falagà, un battaglione avrebbe guidato l'attacco al massiccio centrale; entrambi gli attacchi furono respinti dagli italiani.

Il 4 maggio gli inglesi riuscirono a occupare tre cime della catena grazie all'intervento dell'artiglieria. Il giorno successivo riuscirono a occupare un'altra cima, ma non arrivarono oltre per l'efficace fuoco di sbarramento operato dalle mitragliatrici italiane. Nel silenzio della notte gli inglesi riuscirono a risalire l'Amba e ingaggiarono battaglia; nel frattempo un altro gruppo di inglesi approfittò dello scontro per occupare un altro monte. 

Poi, l'arrivo di nuovi rinforzi inglesi consentì loro l'occupazione della nuova cima. La montagna successiva fu conquistata dopo altri due attacchi il 14 maggio. Rimase "sotto il Tricolore" soltanto l'Amba Alagi, area già tristemente famosa per la prima infausta battaglia avvenuta durante la guerra di Abissinia nell'acrocoro etiope. Il 7 dicembre 1895 il presidio italiano comandato dal maggiore Pietro Toselli, composto da poco più di duemilatrecento uomini tra nazionali ed indigeni, venne assalito da circa trentamila abissini; nello scontro, le forze italiane vennero completamente annientate.

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La resa di Amba

Gli eroici militari italiani, anche questa volta inferiori sia per numero che per mezzi e rimasti in pratica senza più acqua e viveri, si dovettero infine arrendere ai nemici britannici: ciò avvenne il 17 maggio 1941 dopo una strenua e ardita resistenza e per questo gli italiani ottennero l'onore delle armi, reso non solo in omaggio all'alto appartenente della Casa Reale italiana, ma a tutti i combattenti, compreso don Saverio di Cervinara.  

Da sottolineare la fedeltà degli Ascari. Infatti, poco prima della resa, il Duca d'Aosta autorizzò gli ufficiali a lasciar tornare nei propri villaggi le truppe indigene. A fronte di tale autorizzazione gli abbandoni non furono superiori alla quindicina di casi, come risulta dai Bollettini del Servizio Informazioni Militare conservati presso l'Archivio Centrale di Stato di Roma, rubricati sotto l'anno 1941. Nell'immaginario collettivo post-bellico gli Italiani appaiono come un popolo poco incline al sacrificio per la Patria

Un'etichetta che puzza di propaganda nemica. Pochi sanno che alcune truppe italiane, ad esempio, condussero una guerriglia nei deserti eritrei e nelle foreste etiopi fino alla resa incondizionata del governo italiano agli Alleati nel settembre 1943.

la Prigionia

Don Saverio Caporaso fu fatto prigioniero degli inglesi e segregato come guida spirituale nei campi di prigionia in Kenya. A testa alta continuò a resistere e a chiedere giustizia per i Camerati. Anzi, l'eroe dimenticato, più volte fu costretto ad alzare la voce contro i "vincitori", che offendevano la digni­tà umana dei nostri combattenti, che pur avevano strappato l'onore delle armi alle soverchianti formazioni inglesi. Anche in preghiera, Don Saverio si sentì sempre militare e fieramente italiano. 

Tornerà a Cervinara solo nel 1947 per poi trasferirsi a Cardito di Napoli, dove giunse dopo gli anni Cinquanta. L'irriducibile Cervinarese fu Rettore di una Chiesa, docente di religione, creatore e direttore della Casa del Fanciullo, che intitolò a sua padre Andrea Caporaso.

A Cardito il sindaco pro-tempore, l'industriale Francesco Giugliano, gli cedeva uno spazio ricco di rovi, ricettacolo di talpe e serpi — una volta accoglieva le dirute strutture del macello comu­nale — su cui don Caporaso farà sorgere il suo Istituto. Oltre il modesto "libretto" al portatore, su cui giacevano somme al di sotto dei due milioni di vecchie lire, don Caporaso fu un grosso or­ganizzatore per un largo lancio di propaganda, che utilizzò per raccogliere offerte e contributi per far fronte alle spese occor­renti per elevare la superba costruzione. Quando giungeva a Cardito, aveva già un suo passato dignitoso, vissuto in varie località, dove aveva saputo operare nel campo di una illuminata organizzazione filantropica (Albano, Benevento, Ri­mini, Ancona, Napoli e altri centri).

Il Bollettino Diocesano di Aversa, - si legge sul sito del Comune partenopeo di Cardito - in occasione della morte (16 giugno 1984), nel numero di novembre -dicembre, disegnava di don Caporaso un pro­filo documentato. Infatti, concependo la vita come missione, era vissuto non per sé ma per gli altri, in gioiosa donazione. In quell'assolata giornata del 16 giugno 1984, a dare l'estre­mo saluto al vecchio prete — supremo attestato di stima, di riconoscenza, di ammirazione al sacerdote, al soldato, all'edu­catore — sarà il popolo di Cardito, accorso nella «Casa del Fanciullo»; più tardi, nel trigesimo, sarà presente anche il Ve­scovo Gazza di Aversa, che, con la folla orante, nella Chiesa di San Biagio, volle pregare per il suo sacerdote.

Nell'atrio della Casa del Fanciullo (ora, sede della r S.M.S., che accoglie la popolazione scolastica di Carditello) una lapide "ricorda e celebra il prete-costruttore; nel cimitero consortile, una disadorna marmorea tomba ne accoglie il frale, nell'attesa della risurrezione dei giusti."

Per dire la Vostra, contattateci all'indirizzo di posta elettronica caudiumpatrianostra@gmail.com oppure tramite Twitter @SchiaffoLo



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