martedì 10 maggio 2022

René Guénon - La crisi del mondo moderno | Cap. 3 parte I - Conoscenza e azione

La crisi del mondo moderno

Cap. 3 - parte i

Conoscenza e azione

Considereremo adesso, in maniera particolare, uno dei principali aspetti dell’opposizione che esiste attualmente fra lo spirito orientale e lo spirito occidentale, opposizione che è, in maniera più generale, quella fra lo spirito tradizionale e lo spirito antitradizionale, come abbiamo spiegato prima.

Da un certo punto di vista, che peraltro è uno dei più fondamentali, questa opposizione appare come quella fra la contemplazione e l’azione, o, per essere più esatti, come quella relativa ai due posti rispettivi che conviene attribuire all’uno ed all’altro di questi due termini.

In funzione del rapporto che intercorre fra loro, questi possono essere considerati in vario modo: si tratta veramente di due contrari, come sembra si pensi comunemente, o non si tratta piuttosto di due complementari, o ancora non vi sarebbe in realtà fra loro una relazione, non di coordinazione, ma di subordinazione? Sono questi i diversi aspetti della questione, e tali aspetti si riferiscono ad altrettanti punti di vista la cui importanza, peraltro, è molto diversa, ma ciascuno dei quali ha in qualche modo la sua giustificazione e corrisponde ad un certo ordine di realtà.

Innanzi tutto, il punto di vista più superficiale, il più esteriore di tutti, è quello che consiste nell’opporre puramente e semplicemente la contemplazione all’azione, come fossero due contrari nel vero senso della parola. L’opposizione, in effetti, esiste solo in apparenza ed è incontestabile, e tuttavia, se essa fosse assolutamente irriducibile, fra la contemplazione e l’azione vi sarebbe una totale incompatibilità, tale che non potrebbero mai trovarsi riunite. 

Ora, in effetti, non è così; non vi è alcun popolo né alcun individuo, almeno nei casi normali, che possa essere esclusivamente contemplativo o esclusivamente attivo. La verità è che si tratta di due tendenze, una delle quali finisce col dominare quasi necessariamente, di modo che lo sviluppo dell’una sembra effettuarsi a detrimento dell’altra, per il semplice motivo che l’attività umana, intesa nel senso più generale, non può esercitarsi parimenti e contemporaneamente in tutti i domini e in tutte le direzioni. 

È questo che dà l’impressione di una opposizione; ma dev’esserci una conciliazione possibile fra questi due contrari o cosiddetti tali; e, del resto, si potrebbe dire altrettanto per tutti i contrari, i quali cessano d’esser tali allorché, per prenderli in considerazione, ci si eleva al di sopra di un certo livello, quello in cui la loro opposizione mantiene tutta la sua realtà. Chi dice opposizione o contrario, per ciò stesso, dice disarmonia o squilibrio, vale a dire qualcosa che, come abbiamo già detto a sufficienza, può esistere solo da un punto vista relativo, particolare e limitato.

Considerando dunque la contemplazione e l’azione come complementari, ci si pone da un punto di vista un po’ più profondo e più vero del precedente, dato che l’opposizione vi si trova conciliata e risolta, con i due termini che in qualche modo si equilibrano l’un l’altro. Sembra allora trattarsi di due elementi ugualmente necessari, che si completano e si sostengono a vicenda e che costituiscono la doppia attività, interiore ed esteriore, di un solo e medesimo essere, sia questo un uomo in particolare o l’umanità considerata collettivamente. 
Questa concezione è sicuramente più armoniosa e più soddisfacente della prima, tuttavia, se ci si attenesse esclusivamente ad essa, si sarebbe tentati di porre sullo stesso piano, proprio in virtù della correlazione stabilita, sia la contemplazione che l’azione, di modo che rimarrebbe solo da sforzarsi di mantenere l’equilibrio fra loro, senza mai porsi l’interrogativo su una qualunque superiorità dell’una nei confronti dell’altra; e ciò che dimostra subito che un tale punto di vista è ancora insufficiente è proprio il fatto che, al contrario, tale interrogativo sulla superiorità si pone effettivamente e si è sempre posto, quale che sia la direzione verso la quale si è inteso risolverlo.

Del resto, ciò che importa, a questo proposito, non è tanto la questione di una predominanza di fatto, la quale tutto sommato è solo una faccenda di temperamento o di razza, quanto quella che si potrebbe chiamare una predominanza di diritto; e le due cose sono collegate solo fino ad un certo punto. Senza dubbio, il riconoscimento della superiorità di una delle due tendenze inciterà a svilupparla il più possibile, preferendola all’altra; ma, in pratica, non è meno vero che il posto che finiranno con l’occupare la contemplazione e l’azione, nella vita di un uomo o di un popolo, dipenderà sempre, in gran parte, dalla sua propria natura, poiché in tutto questo occorre tenere conto delle possibilità particolari di ciascuno. 

È risaputo che l’attitudine alla contemplazione è più diffusa e generalmente più sviluppata presso gli Orientali, e probabilmente in nessun paese essa lo è tanto quanto in India, è questa la ragione per la quale questo paese può essere considerato come il rappresentante per eccellenza di ciò che abbiamo chiamato lo spirito orientale. Per contro, è incontestabile che, in linea generale, l’attitudine all’azione o la tendenza che deriva da tale attitudine, è quella che predomina presso i popoli occidentali per quanto riguarda la grande maggioranza degli individui; 

e che, quand’anche questa tendenza non fosse esagerata e deviata come adesso, essa sussisterebbe ugualmente, di modo che presso di loro la contemplazione non potrebbe mai riguardare che un’élite molto più ristretta; è per questo che in India si dice molto volentieri che, se l’Occidente ritornasse ad uno stato di normalità e in possesso di una organizzazione sociale regolare, vi si troverebbero indubbiamente molti Kshatriya, ma pochi Brâhmani

Nondimeno, se l’élite intellettuale fosse effettivamente costituita e se la sua supremazia venisse riconosciuta, questo sarebbe sufficiente per far rientrare tutto nell’ordine, poiché la potenza spirituale non è affatto basata sul numero, la cui legge è quella della materia; e d’altronde, lo si noti bene, nell’antichità e soprattutto nel Medio Evo, il fatto che negli Occidentali albergasse la disposizione naturale all’azione, non impedì loro di riconoscere la superiorità della contemplazione, vale a dire dell’intelligenza pura; come mai allora accade diversamente nell’epoca moderna? 

C’è da chiedersi se questo si verifica perché gli Occidentali, sviluppando oltre modo le loro facoltà d’azione, abbiano finito col perdere la loro intellettualità e poi, per consolarsi, abbiano inventato delle teorie che pongono l’azione al di sopra di tutto, giungendo, come col «pragmatismo», perfino a negare che esista alcunché di valido al di fuori dell’azione stessa; oppure se non sia dovuto al fatto che questo modo di vedere, essendo prevalso inizialmente, li abbia condotti all’atrofia intellettuale che conosciamo oggi. 

In entrambe le ipotesi, ed anche nel caso assai probabile che la verità sia costituita da una combinazione fra di esse, i risultati sono esattamente gli stessi; al punto in cui le cose sono giunte, è ormai tempo di reagire, e, lo ripetiamo ancora una volta, è qui che l’Oriente può venire in aiuto dell’Occidente, sempre che quest’ultimo lo voglia realmente; e questo non per imporgli delle concezioni che gli sono estranee, come certuni sembrano temere, ma proprio per aiutarlo a ritrovare la propria tradizione, della quale ha perso il senso.

Si potrebbe dire che l’antitesi fra l’Oriente e l’Occidente, allo stato attuale delle cose, consiste nel fatto che l’Oriente mantiene la superiorità della contemplazione sull’azione, mentre l’Occidente moderno afferma invece la superiorità dell’azione sulla contemplazione. In questo caso non si tratta più di punti di vista, come quando si parlava semplicemente di opposizione o di complementarità e dunque di un rapporto di coordinazione fra i due termini, punti di vista di cui ciascuno può avere la sua giustificazione e può essere accettato quantomeno come l’espressione di una certa verità relativa; e infatti, dal momento che un rapporto di subordinazione è irreversibile per la sua stessa natura, le due concezioni sono realmente contraddittorie, dunque esclusive l’una dell’altra, di modo che, non appena si ammette che effettivamente vi è subordinazione, necessariamente una delle due concezioni è vera e l’altra è falsa.

Prima di approfondire ulteriormente la questione, facciamo ancora notare che, mentre lo spirito che si è mantenuto in Oriente è veramente quello di tutti i tempi, così come dicevamo prima, quello presente in Occidente è apparso solo in un’epoca molto recente; il che può far pensare, al di là di ogni altra considerazione, che ci si trova al cospetto di qualcosa di anormale. 

Questa impressione è confermata dalla stessa esagerazione in cui incorre lo spirito occidentale moderno nel seguire la tendenza che gli è propria: non contento di proclamare, ad ogni occasione, la superiorità dell’azione, ha finito col farne la sua preoccupazione esclusiva ed ha finito col negare ogni valore alla contemplazione, di cui peraltro ignora o disconosce interamente la vera natura. 

Al contrario, le dottrine orientali, pur affermando il più chiaramente possibile la superiorità ed anche la trascendenza della contemplazione in rapporto all’azione, accordano tuttavia a quest’ultima il suo posto legittimo e riconoscono volentieri tutta la sua importanza nell’ordine delle contingenze umane.

Scritto da René Guénon

La crisi del mondo moderno

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